Quel "Cristo proibito" bocciato in Italia. Ma premiato al Festival di Berlino

Sempre sulla scena, ma anche dietro la macchina da presa. Curzio Malaparte e il cinema: un solo film da regista, un solo film tratto dalla sua produzione letteraria. E tanti progetti mai realizzati....

Le pagine de La Nazione del giorno della morte di Malaparte e del 21 luglio, quando a Prato in Duomo si tennero i funerali del grande scrittore

Le pagine de La Nazione del giorno della morte di Malaparte e del 21 luglio, quando a Prato in Duomo si tennero i funerali del grande scrittore

Prato, 19 luglio 2017 - Sempre sulla scena, ma anche dietro la macchina da presa. Curzio Malaparte e il cinema: un solo film da regista, un solo film tratto dalla sua produzione letteraria. E tanti progetti mai realizzati.

Correva l’anno 1950. Set a Montepulciano, Raf Vallone - star dell’epoca - protagonista di «Cristo proibito» insieme alla moglie Elena Varzi, Alain Cuny, Annamaria Ferrero. Musica, soggetto, sceneggiatura, regia dello scrittore pratese. Come direttore della fotografia, il grande Gabor Pogany, suocero di Pamela Villoresi. Il suo debutto nel cinema fu salutato da aspre critiche in Italia, ma da un inaspettato successo internazionale: vinse persino il Gran Premio d’onore Fuori Classe al festival del cinema di Berlino nel 1951. Due anni dopo il National Board of Review of Motion Picture lo inserì nella lista dei migliori film stranieri dell’anno. Novantacinque minuti per raccontare la storia di un reduce di guerra, tornato al suo paese per scoprire i responsabili della fucilazione del fratello. Uno dei maggiori critici dell’epoca, Edoardo Bruno, non mancò di stroncare il Malaparte regista, dalle pagine di Filmcritica. «Ci sembra che il film dia con chiarezza estrema, una conferma della confusione, della grettezza morale e dell’insulsaggine del Malaparte». Aggiunse persino ciò che Gramsci scriveva dell’intellettuale pratese. «Il carattere fondamentale del Suckert è uno sfrenato arrivismo, una sviscerata vanità e uno snobismo camaleontesco. Per avere successo era capace di ogni scelleratezza».

Tutt’altra accoglienza trent’anni dopo per Liliana Cavani che decise di portare sul grande schermo uno dei romanzi più letti e venduti nella carriera di Malaparte. Festival del cinema di Cannes 1981. In concorso a rappresentare il cinema italiano ecco «La pelle», diretto dalla regista reduce da grandi successi come «Il portiere di notte» e «Al di là del bene e del male». Vietato ai minori di 14 anni per alcune scene scabrose e violente, il film vede protagonista Marcello Mastroianni nel ruolo dello stesso Malaparte, con Claudia Cardinale (la principessa Caracciolo e Burt Lancaster (il generale Clark). Negli anni della seconda guerra mondiale, le miserie e le macerie nel ventre di Napoli. Con estrema fedeltà al romanzo, la Cavani racconta senza sconti la crudeltà di quei giorni. Buon successo al botteghino, critiche tutto sommato benevole.

UN INCONTRO casuale quello tra la regista di Carpi e lo scrittore di Prato. Come raccontò anni fa la stessa Cavani in una intervista al nostro giornale: «Per ingannare l’attesa di un treno alla stazione, comprai il libro di Malaparte leggendolo velocemente. Al termine della lettura decisi di trarne un film». E poi come non ricordare la villa Malaparte arroccata sugli scogli di Capri. Una splendida location usata più volte dal cinema. Oltre che dalla Cavani, anche da Jean Luc Godard per «Il disprezzo», tratto dal romanzo di Alberto Moravia ed interpretato da Brigitte Bardot e Michel Piccoli. E nel 2016 scelta come immagine simbolo del manifesto del Festival di Cannes.