Prato, 9 giugno 2014 - La Corte d’appello di Firenze, terza sezione penale, ha confermato la gran parte dei sequestri per la confisca dei beni intestati a vari soggetti ma ritenuti dalla magistratura riconducibili a Giacomo Terracciano, che la Procura di Firenze ritiene in odore di camorra. A marzo 2013 il Tribunale di Prato aveva ammesso i sequestri disposti dal procuratore capo di Firenze, Giuseppe Quattrocchi, che per procedere aveva fatto ricorso alla legge antimafia, per la prima volta a Prato, legge che permette di confiscare dei beni intestati a terzi se si sostiene che siano riconducibili a un appartenente alla criminalità organizzata. Quattrocchi chiese anche delle misure personali (cinque anni di obbligo di soggiorno) che però furono rifiutate con la motivazione della non pericolosità sociale attuale di Terracciano, difeso dall’avvocato Manuele Ciappi.

Dopo il primo grado, in tredici hanno fatto ricorso in appello contro i sequestri per la confisca: beni, cioè, che lo Stato vuole acquisire definitivamente perché ritenuti riconducibili a Terracciano benché intestati ad altri. E non si tratta di noccioline: si tratta di tredici fra società e quote di società, una trentina di conti correnti, depositi bancari e postali e buoni fruttiferi (di importi modesti, qualche migliaio di euro) e diversi stabili o quote di essi.

I giudici fiorentini hanno confermato i sequestri, revocandone solo alcuni.Per la precisione, è stato accolto il ricorso di Luca Barollo, Salvatore Bifulco e Michele Bifulco contro il sequestro di quattro conti correnti, un portafoglio titoli e le quote della società Pegaso Srl di cui Barollo era unico socio; accolto in parte il ricorso di Tiziana Vignali e quindi revocata la confisca di un conto da 15mila euro. Adesso pioveranno ricorsi in Cassazione, prima della confisca definitiva. Tra questi, quello dell’avvocatio Federico Febbo, che commenta: "La trovo una procedura molto poco garantista, bastano poche telefonate per perdere una casa".