Firenze, 22 aprile 2014 - «I PRATESI sono sempre nel mio cuore, questa è una città molto solidale. Sono contento di come si sono comportati e sono convinto che si comporteranno ancora bene. Anzi, non vedo l’ora di tornare finalmente alla routine, a casa. La mia vita la vedo a Prato, qui ho tanti amici». Giuseppe Giangrande ha passato la Pasqua in ospedale con la figlia Martina ed i parenti, sognando di tornare presto in via Machiavelli, dove abita, senza nessuna voglia di guardarsi indietro anche se il calendario segna 22 aprile, sei giorni da un anniversario che non avrebbe mai dovuto esserci. Quasi un anno fa, davanti a palazzo Chigi, nel giorno del giuramento del governo Letta, il 28 aprile, Luigi Preiti gli sparò costringendolo a subire un calvario e alla sedia a rotelle.


«Ma non voglio più pensare a quei giorni, voglio solo guardare avanti — dice oggi Giangrande dalla sua camera di ospedale a Montecatone (Imola), dove sta svolgendo la riabilitazione — Sono fortunato a poter raccontare quello che è successo, adesso mi adeguerò alle circostanze della vita. Ho lottato col diavolo ma gli ho rotto due corna». Il riferimento è al proiettile che Preiti ha esploso quasi un anno fa ma anche alla polmonite che lo ha tenuto in ospedale a Prato all’inizio dell’anno e all’emorragia che lo ha colpito a Montecatone venti giorni fa. Tutte salite che il brigadiere ha superato grazie anche alla vicinanza della figlia Martina, ancora stabilmente al suo fianco.
«Dopo le complicazioni del 5 gennaio è stato tutto molto difficile — racconta la giovane — Ho rivissuto l’incubo dell’aprile scorso un’altra volta. Mi sono sentita di nuovo senza futuro, ma per fortuna ce l’abbiamo fatta». Adesso serve solo «pazienza» in attesa che il fisico di Giangrande risponda alle cure in modo adeguato. Ci sono piccoli segnali di miglioramento, muove il collo, le spalle, la parte superiore delle braccia e fa fisioterapia due volte al giorno, ma la strada è lunga al punto che è impossibile sapere quando il brigadiere e la figlia potranno tornare in città.
«Ogni tanto mi chiedo se la casa a Prato c’è ancora — ironizza Martina — Ora è importante non avere fretta, non accelerare i tempi, questo per noi deve diventare una sorta di mantra. Non dico che nei mesi scorsi siamo stati frettolosi, forse però, alla luce di quello che è successo, avremmo dovuto essere più cauti quando siamo tornati a casa».


Martina non può fare a meno di ricordare il 28 aprile 2013: «E’ stato un giorno terribile, pieno d’ansia. Mi viene in mente solo un viaggio particolarmente veloce per arrivare a Roma». Dodici mesi dopo c’è ancora un ospedale ma anche la speranza di avere un futuro, diverso da come lo aveva immaginato ma comunque un futuro. E c’è ancora l’Arma, «sempre presente», mentre il governo è cambiato e, a quanto pare, anche i rapporti.
«Non abbiamo avuto nessun contatto con il nuovo esecutivo — dice Martina rispondendo ad una domanda — ma non è un problema. Forse Renzi poteva chiamare, ma avrà avuto le sue buoni ragioni se non l’ha fatto. Di sicuro Letta con noi è stato molto carino, dall’inizio alla fine. Anche il Comune si è fatto sempre sentire». Un concetto che Giangrande ribadisce: «Mi dispiace per come Letta è uscito di scena. Renzi? Se vuole venire a conoscermi io sono qua». Un ultimo pensiero per Preiti: «Non ho mai avuto contatti con la sua famiglia — chiude Martina — Spero solo che non ci siano sconti di pena, considerando come vanno le cose in Italia».