Prato, 18 agosto 2012 - Urla, strepiti, minacce e botte. E’ stata una giornata difficile quella vissuta giovedì dagli operatori dell’Opera di Santa Rita nella sede di Montemurlo dove sono ospitati cinque profughi di origine nigeriana, arrivati un anno fa dalla Libia. Gli ospiti hanno protestato per chiedere «più cibo e più soldi».

Una prima scaramuccia si era verificata nel pomeriggio, poi verso sera la protesta è degenerata assumendo contorni violenti. Quattro profughi hanno minacciato di lanciare dal secondo piano un frigorifero dopo aver inveito contro gli operatori del Santa Rita nei locali della Misericordia di Oste.

Uno di loro ha anche afferrato una mannaia minacciando i volontari che hanno chiamato i carabinieri di Montemurlo. La protesta è nata dalla richiesta di avere più cibo e, soprattutto, soldi da parte della comunità. In un primo momento i carabinieri sono riusciti a riportare la calma. Ma i profughi, in serata, sono tornati all’attacco: dopo poche ore dopo uno di loro ha aggredito un operatore del Santa Rita causandogli lievi ferite. A quel punto sono arrivati i carabinieri, la polizia municipale e la Digos.

Il nigeriano era nervoso, e spalleggiato dalla moglie incinta, ha aggredito anche gli agenti ferendo due militari, un poliziotto e due vigili. Il nigeriano, 26 anni, è stato bloccato e arrestato per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, mentre la moglie è stata denunciata per resistenza in concorso. Il giovane è stato condannato ieri a otto mesi con la condizionale.

«Ogni atto violento è da condannare — ha detto Roberto Macrì, presidente della Fondazione Opera Santa Rita —. Il ragazzo ha fatto male a comportarsi in quel modo. Certo è che queste persone vivono in una situazione precaria: dopo due anni, non hanno ottenuto lo status di ‘rifugiati politici’. Nel pratese ne abbiamo accolti 46, solo 8 hanno avuto il permesso di soggiorno per un anno. Alcuni hanno trovato sistemazione da parenti e amici, ma da noi ne sono rimasti 30. Il nostro compito è stato quello di ospitarli, dargli un tetto e cibo. Però ci era stato detto che entro il 2011 avrebbero avuto lo status di rifugiati. Serve un intervento del governo per decidere il futuro di queste persone».

Macrì spiega come all’interno delle loro comunità ci siano regole precise e che gli operatori prestano un servizio di controllo. «Abbiamo fatto la scelta di non dargli soldi — prosegue — altrimenti andrebbero a spenderli per bere o per altre cose. Noi gli offriamo cibo, quello che vogliono loro, un tetto, vestiti, sigarette, schede telefoniche, i trasporti, le medicine. Teniamo duro sul versante dei soldi: non diamo contanti per evitare i bivacchi. Da noi le regole sono queste se non gli va bene possono andare da un’altra parte. A parziale scusa per il comportamento del nigeriano posso solo dire che la mancanza di certezze li logora psicologicamente».

Laura Natoli