di Elena Duranti


Prato, 3 agosto 2012 - IL RISARCIMENTO per l’esproprio arriva dopo 19 anni di calvario giudiziario. Ad avere ragione è stata una società pratese proprietaria di un appezzamento di terreno sulla via Montalese, vicino all’area della nuova Coop a Montemurlo.
 

La storia che si è chiusa da poco, a lieto fine, con una sentenza “poetica” pronunciata, in nome del popolo italiano, dalla seconda sezione civile della Corte di Appello di Firenze dove la vicenda è arrivata una seconda volta di ritorno dalla Cassazione e dal Tar della Toscana. Lungaggini che hanno messo le ali alla penna del presidente relatore della sentenza, il giudice Paolo Occhipinti, che ha scritto un poema, sofferto e profondo sull’inutilità della giustizia italiana, che vale la pena leggere per intero, e che funziona e appassiona nonostante i termini giuridici. La ditta “F.lli Sardi srl” era rappresentata e difesa dagli avvocati Mauro Giovannelli e Guido Giovannelli ed era ricorsa contro l’esproprio effettuato, udite, udite, dalla Provincia di Firenze. Infatti, correvano gli anni Novanta e il territorio di Prato era ancora sotto l’amministrazione fiorentina, rappresentata in aula dagli avvocati Attilio Mauceri, Lina Cardona ed Elena Possenti. La condanna a pagare per la Provincia di Firenze ammonta a circa 340mila euro da aggiungere all’indennità di esproprio.

 

La Corte d’Appello ha dato torto alla pubblica amministrazione e il via libera al risarcimento danni per la ditta pratese. Ma sentenza sulla via Montalese si distingue soprattutto per il lessico usato e per l’ironia con cui il relatore affronta il tema degli espropri per pubblica utilità. La sentenza comincia così: «C’era una volta un terreno, di proprietà di una società e su questo terreno la Provincia di Firenze aveva deciso di fare passare una strada e così l’espropriò e per indennità di esproprio offrì una somma che non era neanche un decimo del valore del terreno. Fu allora, nel settembre del 1993, che la società, addolorata e indignata per l’ingiustizia subita, si rivolse alla Corte di Appello di Firenze, perché stabilisse essa il giusto indennizzo... La causa non avrebbe dovuto essere, di per sé, di quelle difficili, come possono esserlo fallimenti, divisioni ereditarie o catastrofi colpose con decine di vittime: c’era semplicemente da valutare a occhio e croce quel pezzo di terreno; cosa che in un paese governato dalla certezza del diritto, si sarebbe potuta risolvere in quattro e quattro otto. E tutti, avuta giustizia, se ne sarebbero tornati a casa felici e contenti. Macché, evidentemente il nostro non è, uno di questi paesi: il suo diritto non è né saggio né certo; ama le sfumature, i cavilli, i distinguo e alla fine si attorciglia da solo su sé stesso. Ma perché questo accade in Italia, in quella che fu la patria del diritto? (...)».
 

 

E prosegue: «Buon per noi, anche se triste, che la Corte europea dei diritti dell’Uomo, ci tiri ogni tanto la giacca, e con lineare, fredda, nordica razionalità, ci dica: ‘Vedete che così non potete andare avanti. Violate in continuazione i diritti dell’Uomo e la vostra stessa Costituzione. (...) Il diritto, se proprio lo vogliamo paragonare alla pittura, è come il Giudizio Universale della Cappella Sistina: solenne, essenziale, solare, elevato e realistico. E quanto alla specifica materia delle espropriazioni per pubblica utilità, il rimbrotto — commenta il giudice relatore — è severo: ‘Abbiate più rispetto per la proprietà, che è una cosa seria, è nata con l’Uomo. Lo avevate dimenticato? Chi volete prendere in giro con questi indennizzi irrisori?’».