Prato, 17 settembre 2010 - RIPORTARE l’economia cinese del distretto parallelo sui binari della legalità. Lo dicesse un politico, sarebbe poco più di un proclama, ma detto da un magistrato fa un altro effetto. E non si tratta di una «toga» che di cinesi sa poco, ma del sostituto procuratore fiorentino Pietro Suchan, che ha condotto la più vasta indagine sul fiume giallo di denaro che da Prato (e dall’Italia) si dirige illegalmente verso l’Estremo Oriente tramite il sistema dei money transfer. Una partita da 5 miliardi di euro, cifre che ancora non siamo nemmeno abituati a valutare: diciamo quasi una manovra finanziaria. Eppure un’indagine di questa portata svela, a sorpresa, quasi un valore “educativo” per le decine di imprenditori colpiti: le loro aziende (tranne nei casi più gravi) sono state sequestrate, ma non chiuse, possono lavorare sotto al tutela di un amministratore nominato dal tribunale. Come dire: chi lavora nella legalità, lavora. Gli altri chiudono.

 

Dottor Suchan, ma è davvero possibile riportare l’economia cinese parallela sulla retta via?
«Questa indagine di valenza nazionale tenta, e in parte vi è riuscita, di riportare quell’imprenditoria sui binari della legalità come effetto dell’applicazione della legge, un obiettivo che si può raggiungere a certe condizioni».
Quali?
«Se la polizia giudiziaria può usare mezzi di investigazione che ha a disposizione, come le intercettazioni; se può fare attività di controllo, osservazione e analisi e procedere a sequestri; se può compiere una immediata verifica dei reati contestati».
E siete in grado di farlo?
«La magistratura ha strumenti abbastanza idonei. Ma le indagini sui cinesi sono difficili per diverse ragioni: c’è un problema di reclutamento, selezione e pagamento degli interpreti, ma soprattutto perché i cinesi vivono nell’omertà diffusa e nella diffidenza verso lo Stato. Verso il loro, e verso il nostro. E in questo caso forse hanno anche qualche ragione, visto il loro rapporto problematico con il sistema. Non certo con il singolo operatore, certo, ma con il sistema burocratico nel complesso».

 

L’impressione è che, dopo gli annunci e le conferenze stampa, tutto torni come prima...
«L’indagine non è chiusa e andrà avanti. Verso quali obiettivi è prematuro dirlo; di certo, non ci accontentiamo. E ricordiamoci in questa indagine è coinvolta anche una bella fetta di italiani che si è arricchita con il sistema del trasferimento di denaro».
Questo legame italo-cinese quanto è radicato in città?
«Fino a due o tre anni fa i proprietari degli stanzoni finiti nel mirino erano tutti italiani che avevano stipulato un favorevole contratto di affitto con i cinesi. Quanti avvocati dei proprietari pratesi sono venuti piangere il giorno dopo il sequestro dei locali, dimenticando che un certo rischio c’è ad affittare in quelle condizioni... Oggi molti capannoni sono cinesi e spesso con intestazioni oscure».
Ma quanto siete capaci di colpire i cinesi scoperti nell’illegalità?
«Abbiamo eseguito più misure cautelari reali (sui beni, ndr) che personali proprio perché così si colpisce di più questo specifico fenomeno criminale. Ma abbiamo anche consentito di riprendere subito l’attività, tranne che per i money transfer. Le aziende sequestrate lavorano proprio perché non abbiamo voluto colpire al cuore un’intera economia, ma riportare quel segmento imprenditoriale deviato laddove si produce senza contraffazione, senza contrabbando, pagando i contributi e le imposte. Se sono misure efficaci? A giudicare dalla mole di richieste che ogni giorno arrivano in Procura a Firenze per richieste di autorizzazioni varie, direi proprio di sì. E’ il polso di quanto incidano queste misure e di quanto i cinesi vogliano lavorare».

 

La sensazione è che non si tratti di semplici evasori fiscali.
«No, certo, noi per primi abbiamo ritenuto che ci fossero aspetti di mafiosità per tre motivi: le modalità di controllo del territorio, il monopolio di fatto dei money to money, i personaggi coinvolti. E anche il Tribunale ha riconosciuto questi aspetti di mafiosità».
Il sindaco Cenni, dopo il recente servizio del New York Times, ha auspicato una maggiore collaborazione delle autorità cinesi. Qual è la situazione, per quanto vi riguarda?
«Finora non ci sono stati rapporti. Ovviamente li auspichiamo».