{{IMG_SX}}Prato, 28 febbraio 2008 - E’ la griffe più prestigiosa del made in Italy e non è sfuggita alla contraffazione. I falsari delle Ferrari - sì, proprio delle Rosse di Maranelo - non sono cinesi bensì italiani. A stroncare su nascere l’associazione a delinquere con base a Licata, nell’Agrigentino, e diramazioni in varie regioni è stato il nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Palermo. Anche a Prato il nucleo di polizia tributaria, diretto dal maggiore Demetrio Conti, ha eseguito un decreto di perquisizione a casa di un pratese appassionato di automobili e non impiegato nel settore che avrebbe scoperto su Internet il giro di 'Rosse' messe in vendita su vari siti e si sarebbe prestato a svolgere il ruolo di mediatore per le vendite. Vendite via web a prezzi appetibilissimi se non si trattasse di falsi - dai 20 ai 50mila euro - e quindi non necessariamente su piazza, anzi ad oggi a Prato non risultano essere stati effettuati sequestri di Ferrari taroccate.

 

L’indagine è partita con la scoperta in un officina di Licata di una falsa Ferrari F360 pronta per la vendita a un prezzo davvero d’occasione: 20 mila euro. Prezzo non poi così appetibile visto che si trattava di un falso. Gli accertamenti hanno poi condotto le Fiamme gialle in diverse città italiane, tra cui Prato ma anche Asti, Casale Monferrato, Milano, Taranto e Crotone, dove sono stati posti i sigilli ad altre sei false 'rosse' di vari modelli già pronte per la consegna e a sette che erano in via di completamento. Otto le persone che sono state denunciate per associazione a delinquere, truffa, contraffazione, frode e ricettazione. Tra gli indagati, oltre al mediatore pratese, risulta anche un rivenditore di auto di Trento ed i titolari di alcuni siti internet.

 

Oltre alle auto gli investigatori, che hanno potuto contare sulla collaborazione della casa di Maranello, hanno scoperto e sequestrato alcuni pezzi di ricambio originali, come marchi, cruscotti e volanti, ed altri in vetroresina riprodotti come cofani, portiere e paraurti. Secondo gli investigatori erano pronti per la vendita ad officine che poi avrebbero provveduto all'assemblaggio su chassis di auto per lo più di provenienza americana.