Addio presidentissimo Romano. L’ultimo ritratto di Aringhieri

Storico patron rossoblu portò la Nazionale di Sacchi nel ‘Pollaio’

Romano Aringhieri, 84 anni, ha trascinato il Ponsacco dall’Interregionale alla serie C2. Ma riuscì anche a portare in paese la Nazionale di Arrigo Sacchi

Romano Aringhieri, 84 anni, ha trascinato il Ponsacco dall’Interregionale alla serie C2. Ma riuscì anche a portare in paese la Nazionale di Arrigo Sacchi

Ponsacco, 24 giugno 2016 - A far mattoni a Chivasso, tre mesi l’anno per campare. Nell’Italia del 1932, fra una guerra e l’altra, il viaggio era lungo e difficile: i migranti eravamo noi. Ecco perché Romano Aringhieri era nato in Piemonte: la sua famiglia vendeva il pesce per nove mesi e negli altri tre impastava mattoni vicino a Torino. Figlio della fatica e poi imprenditore di successo. Persona amata e criticata. Osannata e perfino discussa. Aringhieri era una leggenda anche prima che ieri, alle 12, chiudesse per l’ultima volta gli occhi. E nelle leggende, è noto, tutto si espande, il vero si confonde con il verosimile. Tutti lo conoscevano. Tutti avevano un episodio che portava a lui. Tutti avevano un’opinione, spesso discordante.

La «Fefa», mamma di Romano, in uno di quei viaggi in Piemonte, scoprì il business dei tessuti. Così aprì un negozio in viale della Rimembranza. E’ qui che Romano nasce, cresce e fa fortuna. Trasforma la bottega di abbigliamento in un ingrosso. Quindi si lancia nel commercio degli arazzi, dei tendaggi e dei tappeti. Il suo patrimonio cresce. Il padre era stato presidente del Ponsacco e Aringhieri ne segue le orme.

Ed è anche grazie a quella magica palla che rotola che Romano diventa un personaggio che travalica i confini del paese. Con lui i rossoblu vivono l’epoca d’oro. Nel 1989 salgono in serie C2 e vi restano fino al 1997. Il calcio unisce ancor di più la Città del Mobile e la divide da Pontedera. Aringhieri è il nemico giurato per quelli in riva all’Era e l’alfiere della ponsacchinità. Così crescono intere generazioni. «Quanti ricordi – sospira il figlio Umberto, attuale direttore sportivo del Tuttocuoio – e quanti aneddoti potrei raccontare. Come quella volta che volevamo vendere Pilleddu alla Ternana di Carlo Osti, ma lui non voleva cedere i giocatori a gennaio. Così lasciò me, suo figlio, e Bruno Sabatini a piedi in mezzo alla strada».

«O come quando, nello spareggio con il Giorgione, dovevamo vincere per forza e restammo invece subito in dieci uomini – racconta ancora Umberto –. Allora disperato salì in auto e andò verso casa. Ma fu fermato dalla polizia proprio quando il Ponsacco segnò il gol della vittoria ed esultò davanti agli agenti: ‘Fatemi pure la multa! Non importa!’». O come quando, dopo una vittoria, arrivava nel bar del paese e offriva da bere a tutti. «Senza dimenticare quando si nascondeva nel gabbiotto dello stadio per non vedere quello che stava avvenendo in campo. E Ghelli, contro il Livorno, non gli disse che l’arbitro aveva assegnato un rigore per i labronici. Rigore che loro sbagliarono, ma quando lui lo scoprì si arrabbiò di brutto». Aringhieri poi è riuscito in un’impresa che nessuno potrà più ripetere.

Portò la nazionale italiana di Arrigo Sacchi nel ‘Pollaio’ dove si giocò una storica amichevole. Era il 5 ottobre 1995, finì 6-0 per gli azzurri, ma Pilleddu colpì un legno. Il videoservizio della Rai ancora oggi è conservato nelle case di tanti ponsacchini.

Aringhieri, cedute le ditte e il Ponsacco (due anni dopo la retrocessione), si lanciò nel settore immobiliare. Prima comprando e vendendo case e uffici, poi costruendo in prima persona. Come la Galleria che porta il suo nome all’ingresso del paese. Paese che oggi si riunirà, con il figlio Umberto e la figlia Sandra (noto avvocato), per l’ultimo saluto alle 15.30. «Un personaggio carismatico – scrive il Ponsacco calcio – che riusciva a trascinare tutti dai più piccoli ai più grandi, trasformando il Comunale nel cosiddetto “Pollaio” come amava chiamarlo lui. Ciao Romano...». Ad accompagnarlo, nel suo ultimo viaggio, una cravatta e una sciarpa rossoblù. I colori di una vita.