"La villa di Santa Croce non fu acquistata con i soldi di Maniero"

Mala del Brenta, braccio di ferro sulla confisca degli immobili di Di Cicco che la Procura vuole destinare allo Stato ritenendoli acquistati con i sodli delle rapine dell'ex boss

Felice Maniero

Felice Maniero

Santa Croce, 17 dicembre 2017 - "No, la villa al Cerri, in località Poggio Adorno, non c'entra niente con i soldi della Mala, come non c'entrano un secondo appartamento nel Cuoio e la casa al mare: deve essere rigettata l’istanza di confisca», dice Giulio Venturi, il penalista pisano che difende Riccardo Di Cicco, 60enne, ex cognato di faccia d’Angelo, in carcere con l’accusa di aver riciclato il tesoro di «Felicetto». Ma questo è un processo parallelo, è il processo sulla confisca dei beni che per l’accusa sarebbero stati acquistati con soldi provento di furti e rapine della Mala del Brenta e che dovrà decidere se togliere i sigilli o destinarli a favore del fondo unico di giustizia dello Stato come chiede la Procura di Venezia. Sul tavolo di questo processo l’avvocato Venturi ha portato gli esiti della rogatoria in Svizzera e dell’incidente probatorio della scorsa settimana sui rapporto tra Di Cicco e il broker di Santa Croce Michele Brotini che avrebbe aiutato il dentista a riciclare i soldi. «Gli immobili non furono acquistati con soldi provento di attività criminale, ma sono frutto della normale attività professionale di Di Cicco – spiega l’avvocato Venturi –. Non c’è sperequazione, non è emersa, almeno nelle dimensioni indicate dall’accusa. Ma in particolare la villa di Poggio Adorno è stata acquistata prima del 1995». La villa è una delle più belle di Santa Croce, imponente a mezza costa, arredata con tappezzerie preziose e mobili di lusso: fu acquistata negli anni '80. Invece è della metà degli anni '90 il  periodo a cui - secondo il difensore dell'odontoiatra, risalirebbe la consegna dei soldi da parte di Maniero al Di Cicco e che questi ha riciclato con la collaborazione di Brotini. Di Cicco ha ammesso di aver riciclato dieci miliardi di lire portandoli in Svizzera - è stato trivato anche un conto cifrato - e di averli restituiti tutti con gli interessi dei quali Maniero avrebbe ricevuto report periodici: una storia che è iniziata nel 1995 e finita nel 2015, stando alle ricostruzioni fatte durante gli interrogatori. Versioni molto distanti quella dell'ex boss e quella dell'ex cognato.

L’udienza si è tenuta davanti la sezione ‘Misure di prevenzione’ del tribunale di Venezia ed ha riguardato i tre immobili su cui pende la confisca ai sensi del codice antimafia. Tutti gli altri beni (conti bancari, auto sportive e di lusso, gioielli, mobili e quadri antichi) fanno parte di un altra partita di sequestri operata nell’ambito di questa vicenda. In questo processo ci sono le persone a vario titolo intestatarie in tutto o in parte degli immobili: oltre Di Cicco c’è Noretta Maniero, e altri prossimi congiunti. Tutti negano qualsiasi intenzione di venderli e respingono l’accusa che siano stati acquistati con i soldi di Felicetto: signore di rapine, traffico di droga e omicidi, finché non finì arrestato e divenne collaboratore di giustizia. Del suo tesoro non si seppe più nulla: Maniero si è rifatto una vita come imprenditore dagli alterni destini, fino a quando nell’inverno del 2016, non si è presentato dai pm della Dda di Venezia, per denunciare l’ex cognato Di Cicco al quale - racconta - aveva affidato una trentina di miliardi di lire perché li facesse fruttare: Di Cicco, pero, secondo Maniero, gli avrebbe restituito i soldi solo in parte E lui, Maniero, ha preferito consegnarlo allo Stato che farsi beffare.  Si torna in aula a gennaio per le repliche e per la decisione del giudice. Per quanto riguarda il processi principale, quello sull'accusa di riciclaggio aggravato dalla provenienza mafiosa dei denari, tra pochi giorni ci sarà l'udienza preliminare ed è già certo che Di Cicco chiederà l'abbreviato. Ancora non si sanno le scelte processuali che faranno i legali di Brotini e Noretta Maniero.