Istigazione alla jihad, la Procura ricorre in appello contro il marocchino di Ponsacco

Il pm della Dda ha depositato le ragioni con cui chide al secondo grado di giudizio di condannare il 26 enne assolto nel settembre scorso

Udienza in tribunale a Pisa

Udienza in tribunale a Pisa

Ponsacco, 19 gennaio 2017 - La Dda fiorentina chiede alla Corte d'appello di condannare Jalal El Hanaoui. Secondo il pm della Dda Angela Pietroiusti, che ha impugnato  la sentenza con cui la Corte d’assise del tribunale di Pisa ha assolto con formula piena il marocchino accusato di istigare alla jihad su Facebook, l’assoluzione è frutto di «valutazione frettolosa, parziale e distorta delle risultanze istruttorie». Le quali confermavano – secondo la Procura distrettuale antimafia – «il gravissimo quadro indiziario già valutato come tale dal Gip del tribunale di Firenze che ha applicato la custodia cautelare in carcere, dal tribunale di Firenze e dalla Suprema corte di Cassazione».  Il 26enne, residente a Ponsacco, fu arrestato nel luglio del 2015 dopo che il suo nome e la sua attività su Facebook erano balzate agli occhi dell’antiterrorismo nel monitoraggio dei potenziali pericolosi, incluse le attività di propaganda degli estremismi. A portare il giovane in manette furono una serie di post come quello che recita Ha successo chi muore martire. Chi cancella i peccati versando il sangue entrerà in paradiso profumato, esaltando così, secondo la Dda fiorentina, il martirio musulmano per la guerra santa. El Hanaoui (libero dal 23 settembre scorso) gestiva come amministratore – al momento dell’arresto – tre profili Facebook con tre nomi diversi, navigava con Tor, e accanto a discussioni su temi religiosi islamici, secondo l’accusa, invitava gli «amici» a posizioni oltranziste ed estremiste, evidenziando una chiara condotta per proselitismo a favore della partecipazione alla jihad.

Quadro accusatorio che invece, per i giudici pisani, non ha trovato riscontro – come scritto in sentenza – nell’istruttoria dibattimentale che è stata lunga ed  ha visto il passaggio di numerosi testimoni chiamari a raccontare la vita del marocchino a cui è stato cintesttao anche un viaggio in Turchia, quando si era già licenziato dal lavoro e che svolse da solo a fine 2014 quando la Digos lo aveva già sotto la lente. Nelle 36 pagine d’appello il pm Pietroiusti, che aveva chiesto la condanna ad 8 anni di reclusione per El Hanaoui, ripercorre tutta la lunga e complessa indagine nella quale gli agenti della Digos hanno pedinato sul web e intercettato per mesi le mosse del marocchino – arrivando a produrre oltre 400 mila screenshot – che si muoveva quando come Valerio Rovato, quando come Jalal El Mellali o come Jalal El Andalusi nelle cui vesti, nel giugno 2015, postò un’immagine che riportava una lettera antica del profeta con il suo anello-sigillo, «stesso sigillo che l’Isis utilizza nella sua bandiera». Sentenza da riformare, dunque, per il pm che rinnova la richiesta di condanna.