Trattative serrate per la "vendita-salvataggio" della Carismi

San Miniato, in piedi ci sono due opportunità in mezzo ad un conto alla rovescia che termina con la prima decade di luglio

I vertici della banca

I vertici della banca

San Miniato, 24 giugno 2016 - Sono giorni caldissimi e delicati per il futuro della Cassa di Risparmio di San Miniato. Salatato l’affare con il gruppo Bper, le trattative si sono spostate con due fondi per la «vendita-salvataggio» della banca da 85 sportelli che ha chiuso il 2015 in rosso per 67,6 milioni. Sono questi giorni cruciali, anche perché con i primi di luglio – secondo indiscrezioni, entro la prima decade (si parla tra il 6 e il 10)  – dovranno essere date garanzie precise alla Banca d’Italia che, diversamente, potrebbe anche prendere provvedimenti. La Carismi Spa, con al timone il presidente Alessandro Bandini e l’ad Divo Gronchi, che ha difeso con forza la sua autonomia e indipendenza cercando di reagire alla crisi profonda che ha toccato anche il sistema bancario, vive oggi una delle fasi più difficili della sua storia lunga più di 180 anni. Le sfide cruciali sono due: l’aggiornamento del piano industriale e soprattutto un aumento di capitale (il terzo in quattro anni) fino a 55 milioni. Dopo l’ultima ispezione dell’organo di vigilanza, la «San Miniato» ha dovuto svalutare 103 milioni di crediti e rettificare per 22,5 milioni della partecipazione (20%) detenuta nella Cassa di Risparmio di Volterra. L’azionariato è diviso tra la Fondazione Cassa di risparmio di San Miniato, con poco più del 56%, Cattolica Assicurazioni (25%) e altri soci che hanno in totale il 19,9%. La compagnia assicurativa veronese nel bilancio 2015 ha già svalutato la propria quota nella banca per un valore di 50 milioni e ora dovrà decidere se aderire o se lasciar diluire la partecipazione. Questo quadro, unito all’accordo Acri-Mef che impone alle Fondazioni di vendere in tutto o in parte la partecipazione nelle banche per ottimizzare la combinazione tra redditività e rischio, sta dando una spinta ai tentativi in atto per chiudere positivamente le trattative per limitare al massimo i rischi e per tenere il più lontano possibile la banca dal fondo Atlante (fondo per le banche in difficoltà). In piedi, appunto, ci sono due opportunità che i vertici della Fondazione Crsm da una parte e quella della banca Conferitaria dall’altra stanno cercando di cogliere al meglio e con la piena consapevolezza di quello che rappresenta la banca per il territorio, a partire da 700 posti di lavoro per circa 50 milioni l’anno di stipendi.  Per parte sua l’azionista di maggioranza, la Fondazione Crsm, che di sacrifici «milionari» ne ha fatti tanti in questi anni per sostenere la banca, se deve vendere vuol farlo bene, nonostante i tempi difficilissimi anche per il mercato delle banche: impensabile recuperare il valore che Carismi poteva avere dieci anni fa. Il conto alla rovescia è inziato.