Pontedera, 24 febbraio 2011 - Una banda di giovani, appena maggiorenni o addirittura minorenni: anche per quanto riguarda il giallo — al momento irrisolto — delle tombe profanate che nelle due notti del 4 e del 5 febbraio scorsi, nei cimiteri di Montecastello e La Rotta, i sospetti delle forze dell’ordine si concentrano sull’universo giovanile. A coordinare l’inchiesta c’è un magistrato che non molla facilmente : è il sostituto procuratore Antonio Giaconi, lo stesso pubblico ministero che a Livorno fece riaprire l’inchiesta sulla strage del Moby Prince. E anche in questo caso, c’è da giurarci che non si fermerà fino a quando non avrà individuato i responsabili. Un compito non certo facile, ma neanche impossibile: a Montecastello gli autori della profanazione non hanno lasciato alcun attrezzo vicino al loculo aperto.

 

A La Rotta invece, dove hanno cercato di entrare in due cappelle prima dientrare nella cappella della famiglia Banti, hanno abbandonato utensili usati per smontare la lapide e aprire la bara, rompendo la lamina di zinco. Non solo: avrebbero lasciato alcune impronte ora all’esame della polizia scientifica. i due episodi, collegati tra loro per il modus operandi e per alcuni indizi lasciati dai profanatori, si inquadrano nell’ambito dei riti di iniziazione di gruppi di giovani che si ispirano al satanismo e che ne scimmiottano i rituali. Gruppi di ragazzi che, sarebbero presenti anche nelle nostre zone. Un’ipotesi che era stata in qualche modo ventilata anche da monsignor Fausto Tardelli, vescovo di San Miniato, nella cui diocesi rientra anche la frazione pontederese di La Rotta.

 

A Montecastello gli autori della profanazione non hanno lasciato alcun attrezzo vicino al loculo aperto, ma nel camposanto di La Rotta hanno lasciato due paia di forbici e un cacciavite usati per smontare la lapide e aprire la bara, tagliando la lamina di zinco come una scatoletta. Il passo falso lo avrebbero compiuto lasciando alcune impronte nella notte di novilunio: quella di una scarpa numero 47, sulla porta della cappella della famiglia Franceschini, dove hanno provato ad entrare senza riuscirvi, e un’impronta digitale sul marmo della tomba profanata di Elena Banti. Le indagini, stando a fonti vicine agli inquirenti, starebbero per concludersi.