Lezione di democrazia

Il commento

Roma, 10 gennaio 2017 - Quando ho letto che il gruppo dei liberal democratici del Parlamento europeo si apprestava a votare sì alla richiesta di adesione dei 5 Stelle mi sono stropicciato gli occhi. Non ci potevo credere. È vero che la crisi della democrazia rappresentativa e dei partiti suoi storici pilastri non ha più confini, che nazionalisti e populisti crescono in tutta Europa e hanno appena vinto le presidenziali negli Stati Uniti. È vero che non è più il tempo di ideologie e spesso neanche di ideali, ma per quanto il gruppo dell’Alde possa essere cambiato e l’opportunismo sia diventato di casa anche a Strasburgo, l’incompatibilità politica con i grillini mi sembrava segnata e custodita da confini insuperabili.

Da una parte un gruppo in parte eterogeneo ma comunque decisamente europeista nelle sue correnti fondamentali, sia quelle più moderate del Belgio e dei Paesi Bassi – pur in affanno per la concorrenza elettorale delle destre anti immigrati – sia in quelle più progressiste e libertarie del Regno Unito e della Scandinavia. Dall’altra la masnada italiana dei grillini, una setta asservita al suo padre padrone, un partito più antieuropeo che euroscettico con il suo bagaglio di pittoresca incultura antieconomica e di scemenze antiscientifiche (dalla decrescita felice alla cura Di Bella, dalla negazione dell’Aids alla diffamazione di Rita Levi Montalcini).

E poi, a lontananza e l’estraneità reciproca non potevano che essere state acuite dalla circostanza che proprio nel Parlamento europeo i grillini avevano appena messo su casa insieme con Nigel Farage. Il vincitore della Brexit non a torto aveva visto in Grillo la variante italiana della sua ispirazione populista, protezionista, nazionalista. Pensava a un grimaldello italiano che, replicando il suo modello e la sua esperienza, avrebbe potuto con Marine Le Pen attaccare l’Unione Europea da Sud e scardinarla definitivamente.

Se questi erano i calcoli di Farage quali erano invece le nuove intenzioni di Grillo nel rompere l’accordo con lui e chiedere l’adesione ai liberal democratici? Per giustificare la scelta molti, avversari ma anche seguaci, hanno evocato la vile pecunia che dalle casse del Parlamento sarebbe affluita più copiosa alle casse del Movimento Cinque Stelle grazie alla parentela con un gruppo più numeroso. Può darsi, penso però che abbia contato anche la voglia grillina di rifarsi il trucco e trovare in Europa sponsor e stampelle per scalare il potere in Italia. Di sicuro, dopo il “ma chi l’ha detto che bisogna dimettersi se si è indagati, decide tutto il capo”, dopo i voltafaccia sulla legge elettorale e sui migranti non è la prima giravolta dei grillini.

Ora i militanti del movimento potranno meditare sulla circostanza che un vituperato partito di stampo tradizionale si è riunito, ha discusso e in piena libertà gli ha detto no. Loro, con buona pace di Rousseau, non erano stati nemmeno informati da Grillo, hanno detto sì all’unanimità e si sono presi uno schiaffo in faccia. Che spettacolo, la democrazia diretta!