Venerdì 19 Aprile 2024

Poletti: laurearsi a 28 anni con 110 e lode non serve a un fico

Scalda i social la frase del ministro, che sostiene che i giovani arrivano in ritardo nel mondo del lavoro e fa il suo esempio di non laureato: "Lasciare gli studi mi è pesato, ma mi ha dato molto più di una laurea"

Il ministro Poletti al convegno 'Job&Orienta', in cui ha parlato delle lauree a 28 anni

Il ministro Poletti al convegno 'Job&Orienta', in cui ha parlato delle lauree a 28 anni

Verona, 26 novembre 2015 - Dopo i dati Ocse, che danno all'Italia la maglia nera per gli sbocchi professionari post laurea, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che laureato non è, affronta il tema dei percorsi universitari dei giovani italiani con una frase che fa scatenare il popolo dei social: "Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21". Un concetto che a molti ha ricordato da vicino il 'choosy' (schizzinosi) con cui l'allora ministro Elsa Fornero aveva etichettato i giovani italiani. Il giorno dopo l'uscita, il ministro  torna sulla sua storia personale: "Interrompere gli studi è stata una scelta pesante - dice - ma il lavoro può dare più della laurea".

IL 110 E LODE - Il ministro non ha usato perifrasi per dire come la pensa e incontrando gli studenti al salone 'Job&Orienta' della Fiera di Verona ieri ha messo in chiaro che il mercato del lavoro non aspetta sempre chi si laurea a 30 anni.  Perché è meglio laurearsi con 97 a 21 anni? Perchè così, ha aggiunto Poletti, "un giovane dimostra che in tre anni ha bruciato tutto e voleva arrivare. In Italia - ha sottolineato - abbiamo un problema gigantesco: è il tempo. I nostri giovani arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo. Quasi tutti quelli che incontro mi dicono che si trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro e fare la gara con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo". "Se si gira in tondo per prendere mezzo voto in più - ha insistito il ministro - si butta via del tempo che vale molto molto di più di quel mezzo voto. Noi in Italia abbiamo in testa il voto, non serve a niente".

E ancora, secondo il ministro "il voto è importante solo perché fotografa un piccolo pezzo di quello che siamo; bisogna che rovesciamo radicalmente questo criterio, ci vuole un cambio di cultura". E a proposito di cambi culturali, Poletti, dialogando con gli studenti delle superiori, ha cercato di sfatare altri 'miti': "La storia secondo cui per 20 anni si studia, per 30 anni si lavora e poi si va in pensione è una storia finita - ha detto - La storia secondo cui c'è un posto dove si va a lavorare, la fabbrica, è finita. Il lavoro non si fa in un posto: il lavoro è un'attività umana, si fa in mille posti".

LA RISPOSTA SOCIAL - "Lui aveva risolto così il problema: non s'è laureato" scrive qualcuno su Twitter. Ma altri hanno difeso l'uscita: "È di moda insultare i potenti di turno, e spesso se lo meritano, ma penso che #Poletti abbia detto una cosa oggettivamente vera" dice un altro tweet. 

LO STOP AGLI STUDI - A chi ironizza sul fatto che non sia laureato, Poletti replica: "Interrompere gli studi universitari è stata una scelta pesante ma il lavoro può dare più della laurea". E ancora, in una nota: "Informo gli interessati che ho lavorato fino dall'infanzia, anche durante gli studi, e che ho interrotto l'università, dopo avere sostenuto venti esami studiando di notte. All'arrivo del secondo figlio ho scelto di dedicarmi al mio lavoro e alla mia famiglia. Una scelta che mi è pesata ma che sono felice di aver fatto perché mi ha dato molto più di una laurea".

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