La Grande guerra, è salvo il diario inedito del contadino-soldato di Caporetto

Partì per il fronte a 18 anni: "I Germanesi, come tanti Giganti"

Francesco Belli, 84 anni, mostra il prezioso diario del padre.

Francesco Belli, 84 anni, mostra il prezioso diario del padre.

Pistoia, 2 settembre 2014 - MICHELANGELO Belli, contadino della Caserana di Quarrata, aveva 18 anni quando fu inviato al fronte nella prima guerra mondiale. Fu uno dei tanti giovani, sbalzati d’un tratto dai campi lavorati a grano e mais alle fangose trincee dell’altopiano di Asiago o dell’Isonzo. ll suo diario di guerra, che racconta la sua esperienza di soldato e di prigioniero dal 1916 al 1918, verrà presentato in pubblico per la prima volta sabato prossimo 6 settembre, alla Casa di Zela a Quarrata (ore 21) in una serata dedicata alla memoria della Grande Guerra.

IN QUEL QUADERNO con la copertina nera Michelangelo ha annotato, in 121 pagine scritte fitte fitte, quello che gli succedeva giorno per giorno: il pianto dirotto della partenza, la fame e la spossatezza per i continui trasferimenti, il «mugliare» dei cannoni, l’orrore nel vedere i compagni feriti e mutilati di ritorno dalla prima linea. Il Diario è diviso in due parti; la prima, intitolata «Vita militare», va dall’arruolamento fino alla rotta di Caporetto dell’ottobre del 1917, la seconda, «Vita imprigionata», racconta la prigionia nei Carpazi e in Bucovina dove le condizioni disumane sembrano anticipare quelle dei lager nazisti. Michelangelo scrive con il linguaggio parlato della sua gente, senza rispettare la grammatica ma con uno stile asciutto da cronista moderno, che non indulge a sentimentalismi ma fa parlare i fatti in tutta la loro crudezza. «SI COMINCIAVA a strappare dell’erbe sui prodoli come le pecore» scrive Mihelangelo a proposito della fame dei giorni della prigionia. E la cattura, dopo la rovinosa ritirata di Caporetto, è descritta così: «Si vede da tutte le parti sortire fuori Germanesi che parevano tanti Giganti». Mentre era nel campo di prigionia Michelangelo vendette un quarto del pane che gli toccava, una razione di 300 grammi ogni quattro giorni, per poter inviare a casa il telegramma che diceva che era vivo. I suoi genitori avevano già perso il figlio maggiore Ferruccio, anche lui soldato, morto mentre era in licenza a causa della «spagnola» contratta al fronte. NEL COMUNE di Tizzana, che aveva 12mila abitanti, sono 317 i morti nella prima guerra mondiale. Michelangelo ce la fece a tornare nel 1919 e da allora ha tenuto sempre con sé, come una reliquia, il quadernetto nero e il portafogli dove teneva le cartoline scritte dalla guerra e una sua fotografia in divisa che aveva finito per fondersi ad un santino della madonna.

«PER ME questo diario ha un valore inestimabile – dice il figlio Francesco, che ora ha 84 anni – non lo darei via per niente al mondo. Mio padre lo ha tenuto sempre con sé e raccontava spesso della guerra ma quando arrivava a parlare della prigionia gli veniva da piangere. Ogni anno andava a Redipuglia per incontrare i suoi vecchi compagni. La croce al valore di Vittorio Veneto gli fu consegnata due giorni dopo la sua morte nel 1971». Ma il miglior modo per onorare Michelangelo è quello di conservare la memoria che lui ha consegnato al suo diario.