"La morte io l’ho vista, e ne farò tesoro"

L’infermiere-scrittore Federico Pagliai racconta il terribile incidente di Cireglio. Un mese fa è stato investito e ricoverato in rianimazione

Federico Pagliai

Federico Pagliai

Pistoia, 22 agosto 2014 - DUE COSE rimarranno per sempre impresse nella sua mente: il grido disperato della ragazza che camminava al suo fianco e i gerani bianchi e rossi che ha visto davanti a sè alla fine dello spaventoso volo contro il muro. Fra quel grido e quei gerani, pochi secondi in cui Federico Pagliai ha visto la morte in faccia. Stava camminando lungo la Modenese, ancora pochi passi e sarebbe entrato nel ristorante di Cireglio e si sarebbe seduto a tavola per cenare. Non l’ha mai fatta quella cena. All’improvviso, alle sue spalle, una vettura impazzita è piombata su di lui. Lo ha caricato sul cofano, con la testa ha sfondato il parabrezza. Poi l’auto lo ha trascinato ancora, fino a scaraventarlo contro il muro. Questa spaventosa sequenza invece, Federico non la ricorda. Ricorda tutto il resto, i colleghi che si chinano su di lui, si prendono cura di lui, lo rassicurano, lo portano all’ospedale, in rianimazione. Pochi scampano a un incidente così. Lui, per così dire, se l’è cavata con poco. Una gamba malconcia e l’impossibilità di mettere i piedi a terra ancora per un mese, circa. Non solo può raccontare quello che gli è accaduto, ma ha deciso di farne tesoro. A un mese esatto da quella terribile notte, Federico Pagliai, 48 anni compiuti il 10 aprile, nato a La Lima e residente a Gavinana, infermiere del 118 sull’automedica di San Marcello e sui voli di Pegaso, nonchè apprezzato scrittore della sua montagna, ci racconta quella notte e tutto quello che ha pensato dopo.

«SONO cambiato, sicuramente. E’ un’esperienza forte, che ti porta a riflettere. Come se tu avessi avuto la fortuna di una proroga di vita. E il diritto-dovere di usare bene il tempo. Tante volte ci si perde in cose inutili, in polemiche senza senso...poi ci si ritrova in rianimazione. Mi doveva succedere, mi dovevo fermare. Ho una gamba rotta, ma la testa è lucida ed è sempre rimasta così. Il botto non lo ricordo, ma tutto quello che è avvenuto dopo sì, soprattutto la vicinanza delle persone. E oggi ringrazio chi è stato accanto a me. 

«La mia percezione — ci racconta — è stata di un incidente mio, ma poteva capitare a tutti. Siamo dominati da un senso di torpore, quindi il male ci fa capire il bene, come quando il terremoto scatena la solidarietà in un condominio in cui prima tutti si ignoravano. Da infermiere-malato ho visto come si sta. Spero di essere un uomo migliore e un infermiere meno peggiore. Di malasanità — sottolinea Federico — siamo sempre pronti a parlare, ma non è sempre così. Forte è stata l’esperienza in rianimazione. Io ero un condensatore di vita, un tramite, accanto a persone con la tracheotomia. Accanto a medici e infermieri che dopo tanti anni là dentro non si sono ancora abituati alla morte. Ho sperimentato un’umanità che non si dimentica. Non ho mai dormito. Bene che il cervello sia rimasto sempre sveglio.»

Poi arrivano le domande. «Perchè me la sono cavata? Io credo che uno “parte” quando ha finito il compito. Ho ancora da fare, devo usare bene il tempo. E’ una responsabilità. Questo incidente è stato un’opportunità per cambiare qualcosa, a livello personale, professionale e umano. Ora — riflette — sono chiuso in casa e penso. Penso che quella sera era il compleanno dell’ospedale San Jacopo e c’erano tutti. E tanti sono partiti da casa quando hanno saputo. Penso che esiste solo il presente, e che il futuro è un regalo. E non impreco contro niente e nessuno».

«DI QUELLA sera — racconta ancora — ricordo l’urlo della ragazza che era con me...io camminavo lungo la strada per andare al ristorante. Poi il botto, il dolore. Sono stato caricato sul cofano, ho sfondato il vetro con la testa e sono stato trascinato contro il muro. Quando mi sono fermato ho visto quei gerani bianchi e rossi, davanti a me. Ho avuto l’opportunità di vivere tutto in modo cosciente, lo dovevo vivere.  «La morte ti passa accanto sotto la forma di qualcuno che si addormenta al volante e ti travolge, e poi cambia la prospettiva. Oggi — conclude — posso dire che sono stato fortunato.» 

In questa sua vita in cui, come infermiere sulle emergenze e sugli elicotteri del 118, Federico vive a un’altra velocità, c’è la sua esistenza parallela, quella di scrittore. La penna è armata, il tempo c’è. L’autunno non è lontanissimo, con i suoi colori. I boschi di Federico lo aspettano e lui sa già quanto sarà meraviglioso il momento in cui, poggiati di nuovo entrambi i piedi, potrà di nuovo camminare, assaporando il profumo della sua terra.