Meningite, dieci domande all'esperto

Le risposte ai dubbi sull'epidemia toscana

Fabrizio Pregliasco

Il Presidente dell'ANPAS Fabrizio Pregliasco durante la conferenza stampa di presentazione della 5/a edizione di "Io non rischio - Buone pratiche di protezione civile", Roma, 16 ottobre 2015.

Pistoia, 9 febbraio 2016 - Fabrizio Ernesto Pregliasco, 57 anni milanese, è virologo ricercatore del dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Milano e direttore sanitario dell’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano. E’ uno dei massimi esperti italiani nel campo delle malattie infettive. Con lui abbiamo parlato di meningite.

Che cos’è di preciso la meningite di tipo C?

E’ un tipo di malattia che fa parte di una «famiglia» più ampia che evidenzia un danno alle meningi, che altro non sono che la parte protettiva dell’encefalo. Ecco perché gli effetti clinici sono così importanti. La meningite è divisa in due categorie: quella batterica e quella virale: la seconda è quella che ha effetti meno pesanti e che non si diffonde in maniera epidemica. Quelle batteriche, invece, sono sovute a tre microrganismi: il meningococco, il pneumococco e l’«haemophilus influenzae». I ceppi della malattia sono cinque: il C è quello che attualmente è più diffuso in Italia, seguito dal B. Ci sono anche altrei tre sierotipi molto rari: A, W135 e Y, il cui vaccino è inserito all’interno del cosiddetto «tetravalente».

Quali sono i sintomi principali  con i quali si manifesta?

Sono sintomi aspecifici: febbre altissima, mal di testa, rigidità del collo con contrattura muscolare. E ancora: alterazioni neurologiche, intolleranza ai suoni o alle luci forti. Per capire se davvero una persona è «sotto attacco» della meningite occorre però effettuare una puntura lombare ed effettuare un prelievo, i cui risultati sono disponibili dopo alcune ore o, in certi casi, un paio di giorni. Per quanto riguarda il trattamento, invece, serve una adeguata terapia antibiotica, legata a un efficace sostegno clinico. E, come in molti casi, il tempo gioca un fattore rilevante.

 

In che modo il virus riesce a trasmettersi?

Il batterio della meningite si trasmette per via aerea. Risiede nel cavo orale e nelle prime vie aeree. In particolare si diffonde con contatti ripetuti con ammalati o portatori sani. Detto questo è chiaro che le situazioni di sovraffollamento aiutano il diffondersi della malattia. Ecco perché spesso ne vengono colpiti gli adolescenti e i giovani, che frequentano discoteche e locali simili, dove la vicinanza tra persone è frequentissima. Gli effetti non sono immediati, ma si manifestano nell’arco di 1-7 giorni (anche se generalmente si verificano nel giro di un paio di giorni).

Da cosa è dovuta questa escalation di contagi?

L’escalation è dovuta fondamentalmente all’aumento di portatori sani che si concentrano in un determinato territorio. Portatori sani che sono il 10-15 per cento della popolazione e variano, ovvero una volta può essere portatore sano una persona, una volta un’altra. Nessun pericolo di contagio, invece, può essere dovuto ad ambienti «contaminati» per il semplice moltivo che non è possibile che lo siano: il batterio della meningite, infatti, vive pochissimo al di fuori dell’organismo umano.

Perché proprio in Toscana questa concentrazione?

E’ una bella domanda alla quale è difficilissimo rispondere: in realtà non esiste un motivo scientifico per il quale la Toscana, o meglio alcune zone della Toscana, in questo momento si trovi «sotto attacco» da parte del batterio della meningite. La Regione proprio in queste settimane sta effettuando indagini approfondite per capire eventuali motivazioni, ma da un punto di vista prettamente medico mi sento di dire che non c’è una logica in questa situazione che si sta verificando.

Crede che ci sia troppo allarmismo sulla vicenda?

Non voglio parlare di allarmismo: ci troviamo in una situazione molto delicata, che vede praticamente ogni giorno il verificarsi di nuovi contagi. E’ quindi inevitabile che i mezzi d’informazione ne parlino. Spesso l’aiuto dei media è fondamentale anche per gli appelli alle persone che possono essere entrate in contatto con quanti sono stati colpiti dalla meningite e che devono effettuare la profilassi a seguito della ricostruzione dell’indagine epidemiologica.

Vaccino, sì o no? Cosa consiglia ai nostri lettori?

Assolutamente sì. Vaccinarsi è fondamentali per una serie di motivi. Ne indico soltanto i più importanti: il primo è che ci si immunizza da una malattia che in questo momento è particolarmente aggressiva, soprattutto in Toscana. Non dimentichiamo, però, l’aspetto di solidarietà nei confronti della comunità: chi si vaccina non solo non si ammala, ma non è più nemmeno portatore sano ed evita quindi il diffondersi del contagio.

Esiste un tipo di protezione ‘infallibile’?

La vaccinazione ha diversi schemi in funzione dell’età: lo standard, anche per quanto riguarda la meningite, è di effettuare la prima vaccinazione durante l’infanzia con un successivo richiamo durante l’adolescenza. Chi si vaccina da adulto, invece, non dovrebbe avere necessità di effettuare richiami più avanti negli anni. Certo dalla protezione iniziale del 98% col tempo si scende e a un certo punto ecco che il richiamo diventa necessario.

In che percentuale la meningite porta alla morte?

La percentuale della mortalità rispecchia uno schema abbastanza semplice: 20-2-20. Più precisamente la meningite conduce a esiti infausti nel 20% dei neonati e bambini colpiti. Una percentuale che scende al 2% per quanto riguarda gli adolescenti e che risalte di nuovo al 20 per cento se colpisce degli adulti. Ma la mortalità non è l’unico fattore da valutare: non dimentichiamoci le possibili conseguenze neurologiche permanenti.