Uccise il compagno a colpi di accetta. Pena ridotta a 16 anni per Lotti

L'uomo negli anni 90 uccise anche la sua fidanzatina. Riconosciuta la seminfermità mentale

Un'aula di tribunale (Foto d'archivio)

Un'aula di tribunale (Foto d'archivio)

Pistoia, 24 giugno 2016 -  Massacrò con dodici colpi di accetta, tutti mortali, il suo compagno di stanza, nella casa famiglia di Massa e Cozzile, l’ultima residenza che lo aveva accolto dopo il primo atroce delitto. Era la notte tra il 16 e il 17 gennaio 2014 e Gianluca Lotti, 40 anni pistoiese, era tornato ad uccidere, esattamente 16 anni dopo l’omicidio della fidanzatina, Silvia Gianni, ammazzata con una spranga, il 19 settembre del 1998 a Pistoia, la sera del suo ventunesimo compleanno. Sotto i suoi fendenti era finito Massimo Tarabori, 53 anni di Pescia, anche lui ospite della casa famiglia, colpevole, secondo Lotti, di essere un convivente disordinato, che non rispondeva alla sua mania di igiene e che troppo spesso gli accendeva la luce di notte, come aveva spiegato lo stesso omicida al magistrato che lo interrogò, Luigi Boccia.

Dopo i primi colpi, aveva indossato i guanti di lattice, per non rischiare di contrarre malattie, e poi aveva concluso la sua opera. Finita la mattanza, aveva avvisato un altro ospite dicendogli di chiamare la polizia e si era preparato all’arrivo degli agenti, facendosi una doccia. Per questo secondo, terribile omicidio, Gianluca Lotti era stato condannato un anno fa dal giudice per le udienze preliminari Roberto Tredici a trent’anni di reclusione. Si era partiti dall’ergastolo, considerando la riduzione di un terzo per la scelta del rito abbreviato. A Lotti erano state riconosciute le aggravanti: la recidiva, reiterata e specifica, l’essersi approfittato del rapporto di coabitazione con la vittima, la premeditazione e i futili motivi. Aspetti che erano stati ritenuti prevalenti sull’attenuante della seminfermità mentale. Ieri i giudici della Corte d’Assise di Appello di Firenze, dopo oltre un’ora di camera di consiglio, hanno ridotto la pena a 16 anni. La famiglia di Massimo Tarabori non si è costituita parte civile. «I giudici della Corte d’Assise di Appello di Firenze, due togati e sei popolari, hanno accolto la tesi difensiva – spiega l’avvocato difensore, Cecilia Turco A Lotti è stata riconosciuta la seminfermità mentale, un aspetto che annulla di fatto sia la premeditazione che i futili motivi. Al contrario, i futili motivi come causa scatenante dell’omicidio e la premeditazione sono proprio aspetti della stessa malattia mentale di cui è affetto. Una malattia per la quale Lotti non potrà mai smettere di essere curato, nella struttura carceraria nella quale si trova ora, a Prato, e così per sempre».