Petrocchi, la soluzione sarebbe il Ceppo

Lezioni a rischio nel liceo artistico. La preside Pastacaldi: "Una sede vicina ci sarebbe, ma non ce la danno"

La preside Pastacaldi e il chiostro allagato a settembre

La preside Pastacaldi e il chiostro allagato a settembre

Pistoia, 16 ottobre 2016 - Il giorno dopo l’acquazzone, il sole splende ma il liceo Petrocchi è chiuso. Questo, solo in ragione del fatto che è sabato e che le lezioni sono sospese. Altrimenti, che cosa accadrebbe? Lo chiediamo alla preside Elisabetta Pastacaldi che ha davanti i mesi invernali con il maltempo in agguato e i lavori da fare. Preside, come va oggi? «Stanotte sono riuscita a dormire, ma solo perché sapevo che oggi (ieri per chi legge, ndr) non ci sarebbero state lezioni. Ieri pomeriggio ero a scuola per la riunione straordinaria organizzata con tutto il personale e vedevo l’acqua che filtrava dagli infissi, a rivoli, e pensavo ai miei studenti».

E’ preoccupata in vista dell’inverno? Che cosa farà nei prossimi giorni? «Sono molto preoccupata. Soluzioni dal cilindro ne ho già tirate fuori tante, in questi anni, per esempio creando le aule comuni per materie, dove le classi ruotano a orari diversi per ottimizzare gli spazi attrezzati di cui una scuola come la nostra ha per sua natura bisogno. Ora ho poche alternative. La prossima settimana decideremo cosa fare giorno per giorno, in base al meteo».

Cioè? «Cioè, se piove molto resteremo chiusi. In caso di pioggia moderata, radunerò gli studenti in palestra». Come si sente a dover prendere una decisione del genere? «Male, perché io questa scuola la amo e l’ho accompagnata nella sua crescita. Nel 2010 siamo diventati un liceo. Intanto, è partita la collaborazione con il mondo delle imprese. Con i vivaisti, primi fra tutti Vannucci Piante e con la Camera di Commercio. Lavori che si traducono in progetti: recentemente i ragazzi hanno realizzato il design di una pasta, le Bugie, prodotte dal pastificio Chelucci di Piteccio e ispirate ai personagi di Pinocchio, esposta a Milano. Quando sono arrivata, nel 2007, gli iscritti erano 440. Oggi sono mille, distribuiti in cinque sedi diverse (San Pietro, Bolognini, viale Adua, una stanza in San Leone e Quarrata). Con la differenza che noi non siamo un comprensivo, quindi le sedi non sono indipendenti: i docenti devono correre da una parte all’altra e gli studenti non possono frequentare una sede che ha i laboratori distanti».

Lei una soluzione ce l’avrebbe? «Certo e l’ho esposta agli amministratori durante assemblee e incontri organizzati proprio a scuola. La scelta più naturale sarebbe realizzare un’unica succursale negli spazi lasciati liberi dal vecchio ospedale del Ceppo. Purtroppo ho già incassato il no del Comune. Quello spazio è molto ambito e io devo mettermi in fila. So che c’è un progetto per trasferirci il Tribunale. Stiamo a vedere, ma non mi arrendo».