Defi, futuro incerto: a rischio 65 dipendenti

Il lusso in crisi. La preoccupazione dei lavoratori

I lavoratori della Delfi

I lavoratori della Delfi

Pistoia, 20 febbraio 2018 - Lenzuola per letti da mille e una notte e accappatoi per stanze da bagno con miscelatori in oro massiccio di qualche emiro. E’ la biancheria per la casa che la ditta Defi, da 100 anni condotta dalla famiglia Pratesi, produce per una clientela selezionatissima e facoltosa, tra cui si annoverano anche personaggi del calibro di Elton John, Liz Taylor e l’Aga Khan.

Ieri però, alla storica sede di Ponte Stella a Serravalle Pistoiese i camici bianchi delle ricamatrici e degli addetti alla produzione si sono fermati alle 11 per manifestare il disagio che stanno vivendo per l’incerto futuro dell’azienda dove molti di loro lavorano da quasi 40 anni. A sostenere i 65 lavoratori, di cui 63 donne e tra queste 25 lavoratrici esterne a domicilio che operano a Gubbio, Cinigliano, Pistoia e Arezzo c’erano i rappresentanti sindacali Michele Gargini per la Cgil, Federica Brizi della Uil e Andrea Satti per la Cisl, uniti nel chiedere risposte concrete alla proprietà che è in soggiorno in America per la presunta vendita del marchio ma che non fa avere notizie da giorni.

«L’azienda doveva procedere al concordato – spiega Gargini a nome dei sindacati – che prevedeva anche il pagamento di tre mensilità, mai giunte. I termini per la presentazione tuttavia sono scaduti lo scorso 6 febbraio senza che la proprietà abbia presentato in tribunale il piano e per questo oggi siamo qui a manifestare la nostra preoccupazione per le sorti di un marchio storico e di 65 famiglie».

L’azienda tuttavia lo scorso 9 febbraio aveva confermato alle parti interessate che l’obiettivo della proprietà era quello che insieme alla vendita del marchio fosse mantenuto il livello qualitativo della produzione, vera ragione di esistenza di un’azienda che è paragonabile alla «Gucci» della biancheria per la casa, per dormire nelle cui lenzuola ci vogliono anche 1.500 euro o 700 euro per avvolgersi in uno dei suoi accappatoi.

«Sembra che ci siano più manifestazioni di interesse da parte di compratori, anche esteri – continuano i sindacati – ma ad oggi, dopo l’ultima riunione con la proprietà non abbiano avuto più notizie». Dopo aver brillantemente superato una crisi nel 1986, l’azienda ha cominciato ad avere i primi problemi di liquidità nel 2014, rimanendo indietro con i pagamenti della previdenza integrativa ai lavoratori. Poi la scelta, nel 2015, di avvalersi dell’esperienza di un manager esterno, di Milano, ha indotto la ditta a puntare anche su prodotti economicamente più accessibili ma senza il successo sperato. Intanto le donne della Defi hanno quasi tutte tra i 40 ed i 50 anni e qualcuna lavora lì da una vita.

«L’azienda ha fatto molto – hanno detto Elisabetta Colligiani e Tiziana Benucci, dipendenti da 36 anni – per uscire dalla prima crisi e ci sentivamo tranquille, adesso il clima è molto teso». C’è invece chi sperava di andare in pensione. «Sono entrata alla Defi 7 anni fa, a 46 anni – ha detto Antonella Barca – dopo aver perso l’altro lavoro e speravo di andarci in pensione. Ora non è possibile fare più progetti».

Arianna Fisicaro