Pistoia, 3 maggio 2014 - Da tre giorni la Procura non procede più a carico di ignoti per l’occultamento e la parziale soppressione del corpo di Rosario Orefice. Suo fratello maggiore Luigi, già davanti alla Corte d’Assise per l’omicidio di Rosario, è indagato per questa doppia ipotesi di reato. A Luigi Orefice è stato notificato, in questi giorni, un avviso che mette in condizioni l’indagato, e quindi il legale che lo assiste, l’avvocato Guido Tesi del foro di Pistoia, di poter fare richiesta di accertamenti irripetibili, come una seconda autopsia sui poveri resti poichè la prima, come si ricorderà, è stata eseguita su un corpo senza nome. Rosario infatti è stato identificato soltanto grazie al Dna e quei resti sono ancora a disposizione dell’autorità giudiziaria.

 

L’avvocato Tesi, nel confermare la notifica ricevuta, fa sapere, senza rilasciare nessun’altra dichiarazione, che si riserva di richiedere l’incidente probatorio ai sensi dell’articolo 360 del Codice di Procedura Penale, che prevede appunto tale riserva da parte del difensore. Per la pubblica accusa si tratta del terzo, fondamentale tassello in questa tragedia a cui la città assiste, muta, esattamente da quattro anni, da quando, alla fine del mese di aprile del 2010, si persero le tracce di Rosario Orefice, 38 anni appena compiuti, originario, come tutta la sua famiglia, della provincia di Caserta. La sua scomparsa fu denunciata dal fratello Luigi il 7 maggio e da allora tutti gli appelli, e tutte le ricerche, erano cadute nel vuoto mentre gli uomini della Squadra Mobile della questura di Pistoia, coordinati dal vicequestore Antonio Fusco, cercavano di far luce su questo mistero.

 

Le indagini portarono, pur dopo tre richieste di misura cautelare non accolte dal gip (poichè non superarono lo scoglio del mancato ritrovamento del cadavere), alla richiesta di processo da parte della Procura e al rinvio a giudizio da parte del giudice per le udienze preliminari. Il processo è già cominciato e la prossima udienza è fissata per l’8 maggio davanti alla Corte d'Assise di Firenze.
La seconda svolta, per gli inquirenti, è stata rappresentata dal ritrovamento del cadavere, fatto a pezzi (presumibilmente con uno seghetto elettrico) e infilato in un bidone contenente una sostanza acida. Dal corpo mancavano la testa e le mani. Era la sera del 26 marzo scorso e in questi quasi quaranta giorni gli accertamenti, i rilievi e le ulteriori indagini si sono svolti senza soluzione di continuità, sotto la direzione del sostituto procuratore Claudio Curreli.

 

Per gli inquirenti il quadro indiziario che grava su Luigi Orefice si fa sempre più pesante e la terza svolta è rappresentata dall’ipotesi accusatoria con la quale il pm Curreli ha aperto, nella giornata di mercoledì, il nuovo fascicolo. Su alcuni elementi a cui gli inquirenti sono approdati nelle ultime settimane vige il più stretto riserbo, ma ai loro occhi il cerchio appare chiuso: il cadavere orrendamente sezionato è stato trovato nel capannone della ex verniceria di via Pierucciani 8, a Casalguidi, dove Rosario lavorava da qualche anno e che è di proprietà di Luigi Orefice. Sentito come persona informata sui fatti la notte del ritrovamento, Luigi Orefice non ha saputo fornire spiegazioni sulla presenza del bidone nella sua azienda, accuratamente nascosto fra le canne fumarie sopra il forno per la verniciatura. Secondo le testimonianze già agli atti le persone che, per motivi di lavoro, hanno frequentato quel capannone, hanno riferito che Luigi Orefice si era riservato per sè quel settore e aveva raccomandato di non avvicinarsi.

 

Per la Procura Luigi Orefice ha ucciso suo fratello spinto da un movente economico: Luigi voleva intestare la verniceria al figlio e liquidare il fratello, ma Rosario voleva uscirne pulito dai debiti, come Luigi gli aveva assicurato, e proprio nei giorni della sua scomparsa avrebbe scoperto l’esistenza di una voragine da centinaia di migliaia di euro. Una volta commesso l’omicidio, non si sa con quale modalità, anche se gli inquirenti non escludono l’uso di un’arma, Luigi Orefice si sarebbe disfatto del cadavere con quelle orribili modalità. L’imputato, che dalle telecamere di «Chi l’ha visto?» rivolse il primo accorato appello: «Torna Rosario, se c’è qualche problema lo risolviamo», si è sempre dichiarato innocente.

 

lucia agati