Pistoia, 19 marzo 2014 - Dopo averlo preso a calci, dopo avergli assestato pugni fortissimi al torace, gli legarono le mani, i polsi e i piedi. Poi gli avvolsero intorno al viso una sua maglietta e due sciarpe, fermati con il nastro adesivo che girava più volte intorno alla testa. Piegato su se stesso, per terra, in quelle condizioni, don Mario Del Becaro morì soffocato. Una fine atroce dopo una rapina feroce. I rapinatori oggi dicono che non volevano ucciderlo e i loro difensori sottolineano che, prima di uscire dalla canonica di Tizzana con qualche migliaio di euro, gli tolsero il bavaglio perchè potesse respirare.

 

Ma per la pubblica accusa si va ben oltre l’omicidio preterintenzionale sostenuto dalle difese e ieri mattina, davanti al giudice per le udienze preliminari del tribunale di Pistoia, dove si discute il processo abbreviato per i quattro albanesi che furono arrestati dai carabinieri, il pm Giuseppe Grieco ha chiesto, complessivamente, cinquant’anni di carcere per il barbaro massacro di Tizzana. Gli imputati sono due coppie di fratelli: Fatjon Kraja, 27 anni, di Montemurlo, Bledar Haxillari, 30 anni, di Prato, Gazmor Haxillari, 36 anni, e Arber Kraja, 33 anni, di Montemurlo.

 

Il dottor Grieco ha iniziato la sua requisitoria citando una sentenza dell’Alta Corte per una tragica rapina degli anni ’80, del tutto simile a quella avvenuta sul colle di Quarrata la sera del 28 dicembre del 2012. Marito e moglie furono sorpresi in casa dai banditi. La moglie non fece resistenza, il marito sì. Fu imbavagliato e morì soffocato. «Chi agisce — ha sostenuto il pm citando la sentenza —, accetta la previsione che quel tipo di imbavagliamento possa provocare la morte».

 

Il procuratore ha quindi ripercorso quei trenta minuti tra l’aggressione e l’uscita dei banditi dalla canonica, evidenziando che, dopo quindici minuti, calò il silenzio. In quella casa, lo ricordiamo, i carabinieri avevano sistemato le microspie dopo che don Mario aveva denunciato le persecuzioni e le continue richieste di soldi da parte di un giovane nomade del campo di Prato che era stato arrestato dieci giorni prima del delitto. La sorella era fidanzata con il Bledar.

 

Quei terribili momenti furono riascoltati dagli investigatori che hanno tratto da lì i primi, indispensabili elementi, per risalire agli autori del massacro. Il pm ha quindi valorizzato la confessione di Fatjon, dove aveva ricordato Gazmor quando colpiva don Mario con i pugni al petto e raccontato anche di aver detto allo stesso Gazmor di togliere il bavaglio al parroco.

 

«La previsione della morte — ha ribadito il pm — dunque c’era e, come ha evidenziato l’anatomopatologo, il dottor Alberto Albertacci, dopo l’autopsia, quel tipo di legaccio, con i polsi in trazione, ha incrementato la difficoltà respiratoria della vittima. Nè si può non evidenziare — ha sostenuto ancora il pm — che Bledar che manda il feroce fratello Gazmor (condannato a 18 anni per le rapine con il machete alle coppiette di Prato e Calenzano fra il '99 e il 2000), in casa del parroco, deve essere anche lui considerato responsabile della morte, quindi ritenuto colpevole non soltanto per il concorso nella rapina ma anche per l’omicidio.

 

Il pm quindi ha chiesto 22 anni di carcere per Gazmor visti i precedenti e la recidiva specifica. Il conteggio della pena è partito dai 20 anni per omicidio, più la continuazione e la recidiva e considerata la riduzione di un terzo per la scelta del rito. Ha quindi chiesto 16 anni per Fatjon, per il concorso nell’omicidio, senza recidiva e vista la confessione e il comportamento meno grave in quella tragica notte e, infine 10 anni per il Bledar, alla luce della confessione e la mancanza di precedenti.

 

Per nessuno dei tre il pm ha chiesto le attenuanti generiche. Parere favorevole per il patteggiamento a due anni per concorso anomalo nella rapina per il «tassista» dei rapinatori, Arber, che quella sera accompagnò in auto Gazmor e Fatjon a Tizzana e poi, subito dopo, ripartì. I due furono fatti entrare in casa dal Bledar, che era andato a trovare don Mario e che poi sparì di scena rapidamente perchè il parroco lo accompagnò in auto alla fermata dell’autobus mentre i due si nascondevano in canonica. Don Mario cenò con un parrocchiano e quando rimase solo i due lo aggredirono selvaggiamente, e senza scampo, per farsi aprire la cassaforte.

 

Per i difensori degli imputati il reato — come ci ha spiegato l’avvocato Gabriele Terranova di Prato, che difende i fratelli Haxillari — deve essere riqualificato come preterintenzionale. «Non lo volevano uccidere — ha ribadito l’avvocato Alessandro Mencarelli, che difende Fatjon — gli hanno tolto il bavaglio prima di andare via. Il dottor Albertacci fissa l’orario della morte alle 22.30 quando gli imputati, è certo, sono usciti alle 21.15. Don Mario era sicuramente vivo quando sono usciti. Il perito di parte, la dotoressa Manetti, ritiene che il soffocamento sia stato provocato da causa secondaria, dall’arretramento della lingua nello svenimento».

 

Una ricostruzione che ha fatto uscire dall’aula il fratello maggiore di don Mario, Edmondo Del Becaro, che ha atteso la fine dell’udienza in piazza del Duomo per poi commentare: «Le richieste di pena sono basse, per questi assassini».

 

lucia agati