Omicidio Orefice, parte il processo: "Litigavano sempre per quella maledetta ditta"

Parla mamma Gaetana. In aula anche l'amica del cuore della vittima: "Sapevo che tra i due fratelli non c'erano rapporti idilliaci" / LE ACCUSE DELLA PROCURA A LUIGI OREFICE / TROVATI IN UN BIDONE I RESTI DI UN UOMO / IL VIDEO DEL RITROVAMENTO / LE FOTO / IL DNA E' QUELLO DI ROSARIO OREFICE / LA SCOMPARSA DI ROSARIO OREFICE

Processo Orefice: il pubblico ministero Claudio Curreli e l'avvocato Guido Tesi (Newpressphoto)

Processo Orefice: il pubblico ministero Claudio Curreli e l'avvocato Guido Tesi (Newpressphoto)

Pistoia, 21 novembre 2014 - Un figlio ucciso, fatto a pezzi e infilato in un bidone pieno di acidi e un figlio accusato per quella morte e quello scempio. Mamma Gaetana ha affrontato l’aula con la morte nel cuore, e con le lacrime agli occhi, ma l’ha affrontata, rispondendo a tutte le domande e confermando tutto quello che aveva detto durante le indagini. E’ cominciato così, con questa piccola donna dai capelli ormai lasciati bianchi, il processo per l’omicidio del suo secondo figlio, Rosario Orefice. Davanti a lei, sul banco degli imputati, il suo figlio maggiore, Luigi, 45 anni.

Davanti a loro, la Corte d’Assise, nell’aula bunker, a Firenze. Le testimonianze di ieri, con cinque testi della pubblica accusa, sostenuta in aula dal pubblico ministero Claudio Curreli, che ha diretto le indagini della Squadra Mobile su questa tragedia, hanno inquadrato gli ultimi giorni di vita di Rosario e il conflittuale rapporto fra i due fratelli. E’ il 28 aprile del 2010, sono esattamente le 18.53, orario rilevato dagli inquirenti. E’ l’ultima volta che Gaetana Cestione, 66 anni, di Sessa Aurunca, provincia di Caserta, sente la voce del figlio Rosario. Non lo sentirà mai più, non lo vedrà mai più.

«“Sto spazzando lo stanzone – mi disse –, poi vado a casa. C’è poco lavoro, stiamo aspettando“. Poi gli ho passato mio marito e hanno parlato di calcio. Rosario faceva il lavoro, Luigi si occupava delle cose esterne, con me parlava poco dell’attività. So che Rosario si voleva togliere di lì, che voleva fare le cose per bene, anche Luigi, ma in un modo che a Rosario non andava bene. Litigavano, c’era la crisi, e poi non andavano d’accordo. Rosario si voleva togliere da mezzo, ma non si trovavano d’accordo, non voleva essere disturbato dalle tasse, ne voleva uscire pulito. Il lavoro non andava bene e Rosario (diventato titolare da alcuni anni al posto del fratello), aveva accumulato debiti per le tasse e ne voleva uscire pulito. Luigi aveva proposto una scrittura privata dicendo che si sarebbe fatto carico del pagamento e poi avrebbe intestato la ditta al figlio maggiore. Il capannone lo aveva acquistato Luigi con il mutuo, e i macchinari».

Gaetana ha parlato anche dell’infanzia, non felice, dei suoi figli, entrambi con problemi di salute, Rosario era nato con una malformazione al cuore ed era stato operato quando aveva sei anni. «Poi Luigi si è fatto grande ed è andato su (a Pistoia), Rosario lo ha raggiunto quando ha perso il lavoro a Caserta. I litigi erano sempre per quella benedetta ditta, Rosario se la voleva togliere. Siamo saliti varie volte per intervenire». Gaetana e Paolo Orefice furono avvisati dal figlio Luigi della scomparsa di Rosario. Vennero a Pistoia e fecero la denuncia in questura il 7 maggio. Andarono tutti nell’appartamento dove Rosario viveva, in affitto: «C’erano i panni nella lavatrice e per terra. In frigorifero c’era un pollo pronto, c’era un vasetto di sugo. Non mi ha mai detto che voleva andare via da Pistoia, voleva solo andar via da quella ditta. Mio figlio non ha mai avuto nemici».

La sera del 30 aprile 2010, Luigi Orefice disse alla moglie Antonietta, anche lei testimone in aula e così ha riferito alla Corte, che Rosario sarebbe andato a Bologna per il ponte del 1 Maggio, a trovare la sua amica del cuore. Palma Sorbo, non era a Bologna però, non era più a Bologna in quel periodo, come lei stessa ha spiegato in aula ieri pomeriggio. Lei e Rosario erano cresciuti insieme, si sentivano tutti i giorni. «Mi ero trasferita a Belluno nel settembre del 2009, Rosario mi aiutò nel trasloco con il camion della ditta. I rapporti con il fratello non erano idilliaci, la ditta non andava e poi c’erano le tasse evase. Era stata messa a suo nome, io lo scoprii casualmente su internet, poi mi raccontò che l’aveva fatto per aiutare il fratello e a sua insaputa erano arrivate carte da Equitalia. Lo voleva aiutare perchè il capannone non venisse pignorato. Rosario era arrabbiato, c’erano 80mila euro di tasse a nome di Rosario e che Luigi non aveva pagato. Era dispiaciutissimo, l’ho visto piangere per la prima volta.

«L’ho visto per l’ultima volta il 15 settembre del 2009, per il trasloco, e l’ho sentito l’ultima volta per gli auguri di Pasqua. Gli proposi di venire a Belluno, ma costava troppo. Lo chiamai per il suo compleanno, il 15 aprile. Non mi rispose. L’ho chiamato per tutto il mese di aprile, non mi ha mai risposto. Tuttora lo chiamo».