«Abbiamo i conti in ordine. Siamo motore di cambiamento»

Sfida a rettore: faccia a faccia con Paolo Mancarella

Il professor Paolo Mancarella

Il professor Paolo Mancarella

Pisa, 27 maggio 2016 -  Lo definiscono il ‘delfino’ di Augello. Una categorizzazione che però a lui, Paolo Mancarella, ordinario di informatica e fino a qualche mese fa prorettore alla didattica, va stretta. «Ho una mia autonomia – ha confidato più volte, in questi mesi, ai docenti a lui più vicini – ma certo non si può negare di aver fatto parte di un percorso e averlo condiviso». Di certo c’è che ha due settimane dal primo turno è riuscito ad amalgamare gli altri tre candidati che mercoledì sera hanno siglato un’intesa per unirsi «nel segno della discontinuità» subito dopo la prima tornata elettorale. Insomma, un candidato contro tutti gli altri.

Professore qual è oggi la sfida prioritaria per l’Ateneo pisano?

«Magari fosse una sola la sfida prioritaria! La realtà è che un ateneo come il nostro si trova ad affrontare sfide complesse e molteplici: individuare una sola ricetta sarebbe semplicistico. Una priorità sarà comunque quella di diventare sempre più pronti nel rispondere alle nuove sollecitazioni di un mondo che cambia con rapidità ed anzi, dirò di più, di essere ‘motore’ del cambiamento in tutti campi di attività dell’Ateneo e della società. A tal fine dovremo, fra l’altro, semplificare al massimo le procedure, rendere più efficace l’organizzazione di supporto alla ricerca, offrire agli studenti una didattica di qualità, servizi all’altezza, e produrre una ricerca e un’offerta formativa adeguate a un mondo in rapida evoluzione. Per questo obiettivo estremamente ambizioso sarà indispensabile l’impegno e la collaborazione di tutti. Eccola un’altra priorità: mettere in condizione ogni persona, in qualunque ruolo sia impegnato – di docenza, di ricerca, di ausilio amministrativo e tecnico, di studio – di svolgere al meglio il proprio compito. E’ il capitale umano il principale patrimonio della nostra università».

Perché si è determinata questa situazione?

«Non c’è dubbio che le difficoltà di questi ultimi anni siano in gran parte dovute alla Legge Gelmini, un vero e proprio terremoto che ha imposto a tutte le università una riorganizzazione complessiva in tempi stretti. La situazione si sta normalizzando solo adesso: man mano che ci assestiamo, l’esperienza maturata ci deve guidare nella verifica di cosa ha funzionato bene e di cosa non ha funzionato, per mettere mano a cambiamenti significativi dove si può fare di meglio, per consolidare le esperienze positive e per individuare nuove linee di sviluppo. Un processo impegnativo, che dovrà essere necessariamente rapido e che, per essere veramente efficace, andrà condiviso in tutte le sue tappe con tutte le componenti della comunità accademica, nessuna esclusa».

Solo colpa dei tagli ministeriali o c’è una minor capacità di puntare investire in ricerca?

«I tagli ministeriali certamente hanno influito moltissimo. Intendo battermi con forza in tutte le sedi istituzionali perché si inverta questa tendenza: il sostegno all’università pubblica, alla ricerca e alla formazione deve essere prioritario nell’azione del governo del Paese, così come già avviene in molti altri paesi a noi molto vicini. Ciò non toglie che dobbiamo cercare di renderci più autonomi dalle politiche ministeriali. Dobbiamo aumentare ulteriormente le nostre percentuali di successo sui bandi europei, che già ora sono di tutto rispetto ma che possono crescere ancora. E poi dobbiamo puntare sulla nostra capacità di attrarre finanziamenti privati, collaborando con le imprese – tanto quelle locali, perché abbiamo delle responsabilità verso il territorio, quanto i grossi colossi internazionali, che hanno una maggiore capacità di incidere su tutta la società. Ma dobbiamo essere ancor più bravi di quanto già non siamo nel far vedere che possiamo produrre un buon ritorno sull’investimento in ricerca, anche in ricerca di base. In questo modo i finanziamenti e le collaborazioni aumenteranno, ne sono convinto. Questo deve essere il nostro obiettivo».

Eppure ad ascoltare il rettore uscente, Massimo Augello, grazie alle politiche degli ultimi anni si possono avviare politiche espansive?

«Questo è vero: siamo una delle poche Università in Italia ad avere un bilancio solido e un bilancio solido è condizione indispensabile per portare avanti politiche espansive oggi e nei prossimi anni. Siamo fra i pochi atenei che hanno fatto o stanno facendo molte operazioni di reclutamento che colmano in parte il vuoto lasciato dai tanti pensionamenti, insieme ad operazioni di passaggi di ruolo per rispondere alle legittime aspettative di chi da anni lavora intensamente in ateneo. Una politica espansiva è necessaria, anche solo per recuperare capacità operativa in settori che ormai sono ridotti ai minimi termini. Ricordiamoci che altri Atenei sono stati soggetti agli stessi tagli, e ora non sono in grado di adottare politiche espansive. Non voglio giocare allo sfascio, non è vero che va tutto sempre male: su questo fronte Pisa si è difesa bene».

Nei prossimi mesi ci saranno 200 assunzioni?

«Si sbaglia, ce ne saranno 201! Scherzi a parte, credo che ci sarà sicuramente un buon numero di promozioni di colleghi che da tempo hanno raggiunto la qualificazione necessaria e che hanno subito gli effetti dei vari blocchi delle assunzioni e promozioni imposte da varie leggi finanziarie. E credo ci sarà anche un buon numero di assunzioni di giovani, che rappresentano, alla fine, il vero rinnovamento del personale. Le scelte però dipenderanno in larga parte dalle decisioni dei singoli Dipartimenti: è bene infatti che tali scelte siano affidate primariamente alle diverse strutture sulla base delle loro specifiche priorità e strategie di sviluppo».

Scuola Normale e Scuola Sant’Anna hanno una grande capacità attrattiva di investimenti. Questo finisce per penalizzare l’Ateneo?

«Al contrario! Pisa è una città unica che ospita, oltre alle tre Università, numerosi istituti ed enti di ricerca – CNR, INFN, INGV solo per citarne alcuni: un sistema integrato straordinario di ricerca e formazione. Lavorare in rete è una forza. Tutte le volte che mi trovo all’estero, ovunque sia, incontro sempre persone che hanno conosciuto qualche collega pisano: agli occhi del mondo Pisa è unica ed è vista come un centro di tutto rilievo. Ciascuna delle istituzioni presenti trae forza dalle altre, e fra i miei obiettivi c’è quello di incoraggiare una collaborazione sempre più stretta fra tutti gli enti. Non c’è una torta da dividersi, non si tratta di lottare per accaparrarsi la fetta più grande: al contrario, se lavoriamo insieme facciamo crescere la torta, e tutti avranno fette più grandi».

Eccessivo accentramento dei poteri decisionali, quale autonomia per i singoli Dipartimenti?

«Intendiamoci bene: i Dipartimenti sono i luoghi – fisici e istituzionali – in cui si svolgono le missioni primarie dell’Università: ricerca, didattica, oltre a tutto quel complesso di attività che vengono di solito chiamate terza missione. La cosiddetta amministrazione centrale deve fornire il necessario supporto ai Dipartimenti e coordinare le loro azioni. A volte centralizzare delle funzioni ci rende capaci di offrire servizi migliori, ma a volte la centralizzazione rende tutto più burocratico ed elefantiaco. A mio modo di vedere, la situazione ‘normale’ deve essere quella in cui il Dipartimento è il più autonomo possibile, sia nella gestione del quotidiano sia nelle scelte più strategiche e di lungo periodo, in primis le linee di sviluppo e le politiche di reclutamento. L’amministrazione centrale può intervenire quando sia ragionevole centralizzare le attività, per ragioni di costo, di efficienza, di disposizioni legislative, oppure per disporre di una massa critica di competenze indispensabili ­ come può essere nella gestione dei grandi lavori edilizi – o ancora quando sia necessario comporre dei naturali conflitti, come è il caso della ripartizione di risorse limitate. Composizione che deve comunque avvenire attraverso una diretta interlocuzione con i Dipartimenti, secondo principi di trasparenza, collegialità e condivisione».

Come intende impostare il rapporto tra Università e istituzioni locali?

«È noto a tutti il rapporto strettissimo, quasi simbiotico, che storicamente esiste tra Pisa e la sua Università e, come tutti i rapporti molto stretti, anche questo presenta delle complessità e degli aspetti così numerosi e diversificati che occorre un altrettanto stretto rapporto tra tutte le istituzioni per affrontarli e gestirli al meglio. Pisa – è da quando ho 18 anni che vivo qui, è la mia città – ha le complessità di una metropoli: una città universalmente nota, bellezze di valore altissimo, uno dei monumenti più famosi al mondo, un grande ospedale, un importante aeroporto, istituzioni di studio e di ricerca di grande prestigio, un via vai di cittadini di tutto il mondo. Ecco, tutto questo va armonizzato, dobbiamo puntare a una visione di insieme che coinvolga tutti i principali attori. In questo senso mi impegnerò in prima persona per intensificare il dialogo tra le istituzioni e proporrò iniziative concrete e realizzabili per stimolare questa collaborazione».

Negli ultimi anni c’è stato una forte espansione immobiliare. Ci sono strade del centro occupati quasi per intero dall’Università, con ricadute sulla vita sociale. Come si può intervenire?

«La presenza dell’Ateneo, così come di altre istituzioni universitarie e di ricerca, nel centro della città ha certamente ricadute sociali, ma queste non sono necessariamente negative, anzi! L’Università è storicamente un “campus cittadino”: da sempre le sedi più prestigiose del nostro ateneo sono situate in pieno centro, per la grande maggioranza in immobili di interesse storicoartistico che l’Ateneo mantiene e valorizza anche a vantaggio della città. Non credo che questo di per sé rappresenti un problema su cui intervenire: è una presenza storica che ha “modellato” su di sé una serie di attività e servizi ai cittadini, con rilevanti ricadute economiche per il territorio. Quando siamo stati costretti a chiudere La Sapienza e a spostare altrove la sede di Giurisprudenza, gli operatori cittadini della zona hanno sofferto non poco proprio perché l’università aveva ridotto la sua presenza in un quartiere del centro. Certo, in una prospettiva di lungo periodo, il decentramento di alcune attività e funzioni può aiutare a decongestionare le aree centrali. I “pesi” vanno distribuiti su tutto il territorio. Un territorio più vasto dell’attuale che comprenda l’intera area pisana. Ci sono segnali che vanno in questa direzione e che sapremo cogliere e valorizzare».

Quali sinergie possono nascere per la gestione di problematiche inerenti alla vita degli studenti?

«I problemi legati alla vita dei nostri studenti sono forse più “visibili” di altri, ma certamente risolvibili. Potremo affrontarli e avviarli a soluzione solo se tutti coloro che agiscono nella vita sociale cittadina (prefettura, forze dell’ordine, istituzioni locali, università, scuole, centri di ricerca, studenti, associazioni, cittadini, ...) creeranno una struttura permanente che abbia il compito di armonizzare la vita della nostra collettività tenendo conto delle esigenze di tutti. Non ci sono incompatibilità insormontabili e, come ho già detto in altre sedi, cercherò di favorire e promuovere questa possibilità che, sono certo, potrebbe dare risultati sorprendenti in un tempo non lunghissimo. Sia chiaro: abbiamo tutti il dovere di prestare la massima attenzione ai bisogni dei nostri studenti, in quanto persone a tutto tondo.  La loro presenza rende la nostra Pisa una città grande, multiculturale, piena di idee e di fermento. Senza dimenticare che sono loro, dopo gli studi, a portare il nome e i buoni ricordi di Pisa in giro per il mondo».