"Siamo del gatto", a Pisa una mostra dedicata a sua maestà il felino

Fino al 15 marzo a Palazzo Lanfranchi

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Pisa, 18 gennaio 2015 - Quarantaquattro gatti in fila per sei col resto di due? Molti di più. Centinaia, forse migliaia. Acciambellati e giocherelloni, superbi o enigmatici, indipendenti ma ruffiani, filosofi eppure cacciatori. Forse per la plasticità delle sue forme e magari anche per quegli occhi vispi che più volte lo hanno accomunato alle streghe, il gatto ha da sempre incantato gli artisti, i quali lo hanno riprodotto in tutte le epoche. Per Renoir è stato un soggetto ripetuto, da solo o insieme alle molte signore e signorine di cui ha dipinto il ritratto; Il bizzarro Steinlen ne ha fatto uno dei simboli della Parigi di fine Ottocento dipingendo l'insegna di uno dei cafè-cabaret più noti di Montmartre, 'Le Chat Noir', appunto. E ancora Manet che spesso ha inserito nei suoi quadri il micio di famiglia, Zizi, così come Mirò, il quale ci ha regalato gatti surrealisti e che comunque ne aveva sempre uno accanto quando dipingeva. E se Tiziano scelse un cagnolino, simbolo di fedeltà, per far compagnia alla sua splendida Venere, Manet invece sistemò un bel gattino nero ai piedi di Olympia. Per non parlare dell'idolo pop, l'americano Andy Warhol, che viveva insieme a una colonia di adorati felini, almeno una quarantina, nella sua casa di New York.

Niente da stupirsi, dunque, se un importante Museo della Grafica quale quello di Palazzo Lanfranchi, a Pisa, ha deciso di celebrare il gatto nell'arte con una mostra in cui propone storie a immagini di 'mici' a partire dall' antico Egitto. Disegni, acqueforti, illustrazioni di libri, cartoni animati, foto, tutte su di lui, il re dei saggi, paziente e misterioso. "Siamo del gatto!", recita infatti il titolo della mostra, riconoscendo subito all'animale un potere suggestivo che affascina.

Affascina così tanto che Giorgio Marchetti, urbanista, scrittore e umorista, padre del 'Borzacchini Universale', cosiddetto 'dizionario ragionato di lingua volgare, anzi volgarissima,' si è dato la pena di raccontarci come è nato questo modo di dire livornese, in prestito a tutta la Toscana. "Controversa è la sua origine", ci spiega, oltre che nel suo 'Borzacchini', nel pannello introduttivo della mostra,"anche se non mancano fantasiose ipotesi e contributi sull'argomento, quale quello elaborato da tale Isidoro Bienaimè, detto Merendina, noto marrano dell'area cecinese, che sosteneva l'esistenza di una prima stesura del monologo dell'Amleto di Shakespeare con la frase: 'To be of the cat, or not to be of the cat...', poi semplificata per ragioni ortofoniche". Comunque, per concludere l'argomento, Marchetti taglia corto e chiarisce una volta per tutte che il paradigma animalesco "investe la condizione umana della consapevolezza dell' ineluttabilità del proprio destino e con forza ripropone all' io pensante la riflessione: 'Vai, siamo der gatto...' ogni qual volta che i vigili lo fermano perché andava a 120".

Se tutto questo dice un gatto ai livornesi, agli Egizi, invece, diceva persino qualcosa di più. Come racconta Edda Bresciani, egittologa e archeologa, nell'antica civiltà i felini vennero spesso assunti al ruolo di dei e i faraoni amarono farsi rappresentare insieme a questi animali in scene familiari o di caccia, alcune delle quali vengono riprodotte nella mostra. Una sezione è anche dedicata agli aspetti scientifici riguardanti soprattutto i caratteri genetici dominanti e recessivi che danno origine alle differenze del mantello felino. La mostra, ideata da Alessandro Tosi e Edda Bresciani, nasce infatti da un progetto di comunicazione scientifica dedicato a Mendel promosso dal Museo di Storia naturale dell'Università di Pisa e supportato dalla Regione Toscana.

Insieme a preziosi amuleti e al gatto giapponese, il neko, che gioca con il computer, oltre a dotti riferimenti all'illustrazione scientifica, nell'esposizione prende corpo un'originale galleria di ritratti felini. Molti protagonisti del '900 a noi vicini, come Antonio Bobò, Spartaco Carlini, Franco Gentilini, Toti Scialoja e molti altri hanno condiviso un grande amore per i gatti rappresentandoli nelle loro opere. Sempre sospeso tra vita vera e sogno, Antonio Possenti non poteva mancare nella carrellata di artisti affascinati dall'animale. I suoi gatti, e in mostra ce ne sono molti, ci appaiono sornioni e fiabeschi, sempre colorati, qualche volta persino minacciosi, frutto del nostro inconscio più che della realtà. Succede quando non abbiamo più scampo, quando, appunto, siamo del gatto...

La mostra resta aperta fino al 15 marzo dal martedì alla domenica con orario continuato 9-18.