"Così abbiamo catturato la particella di Dio"

Il professor Tonelli e il suo libro sul Bosone di Higgs

Il professor Tonelli

Il professor Tonelli

Pisa, 24 maggio 2016 - "La nascita imperfetta delle cose" è il titolo del volume – edito da Rizzoli – scritto dal fisico Guido Tonelli, ordinario di fisica sperimentale nella nostra università, ricercatore associato all’Infn e uno dei padri della scoperta del Bosone di Higgs – che gioca un ruolo fondamentale nel definire la struttura materiale dell’Universo – avvenuta alla fine del 2011 al Cern di Ginevra, dove l’imprendibile frammento di materia è “caduto” nella trappola dell’acceleratore di particelle più potente del mondo, il Large Hadron Collider, un tunnel sotterraneo di 27 chilometri, costruito in 20 anni di lavoro e 6 miliardi di spesa. Il volume è stato presentato nei giorni scorsi a palazzo Gambacorti. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Professor Tonelli, partiamo dal titolo: cosa c’è di imperfetto?

"Proviamo a immaginare lo scenario: 13,8 miliardi di anni fa l’Universo si è appena formato, le particelle, prive di massa si muovono freneticamente in un ambiente in cui tutte le forze fondamentali vanno a braccetto fra loro. Vige la più perfetta delle simmetrie ma non è possibile alcuna aggregazione né una qualche evoluzione. Uno stato primigenio, puro, gassoso e una perfetta simmetria che si è rotta con l’irruzione del Bosone, la cui esistenza venne ipotizzata da Higgs fin dal 1964. Dalla rottura di quella primigenia, perfetta simmetria è nata la particolare struttura dell’ universo materiale che ci circonda".

Nel vostro viaggio ai confini della conoscenza avete ricostruito, al Cern di Ginevra, il posto più simile al primo istante di vita dell’Universo. Come descrivere le conseguenze della comparsa del Bosone?

"Un momento magico, avvenuto un centesimo di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang, quando il campo prodotto da quella particella molto speciale ha occupato l’ universo intero. Il nuovo venuto separa definitivamente l’ interazione debole da quella elettromagnetica e assegna una massa specifica alle particelle elementari che possono così aggregarsi a formare protoni stabili e poi, atomi stelle, galassie e pianeti, per giungere fino a noi".

Non a caso il Bosone è stato anche ribattezzato 'particella di Dio'. Ma allora, parlando di creazione, scienza batte la fede 1-0?

"Su questi affascinanti temi abbiamo ospitato al Cern una delegazione ufficiale del Vaticano: è stato un dialogo franco, senza imbarazzi, che sarebbe piaciuto a Galileo Galilei. Più di recente sono stato a Tv 2000, la rete della Cei, a discuterne con il direttore della Specola Vaticana, padre Guy Consolmagno, gesuita. Alla domanda del conduttore sul rapporto tra scoperte scientifiche e atto di creazione divina, Guy ha risposto che lui non utilizza il termine ‘creato’ perchè tutto quello che abbiamo capito della natura sul piano scientifico è stato spiegato. La fede presuppone il credere in Dio come entità esterna alla Natura, perché solo così resiste al progresso della scienza e della conoscenza. La fede è un atto di volontà oltre e non dentro la realtà spiegabile scientificamente".

E sulla fine del mondo cosa avete capito? Ci sarà, probabilmente, ma senza fretta.

"La nuova sfida è indagare per quanto ancora questa sottile impalcatura che regge le forme dell’Universo a noi conosciuto potrà resistere. Semplificando possiamo dire che siamo in una condizione di delicato equilibrio tra stabilità e instabilità. Se da qualche parte, nell’Universo, si rompesse qualcosa, la frattura coinvolgerebbe l’intera struttura. Ma vorrei tranquillizzare tutti: siamo nell’ottica di svariati milioni di anni".

E’ stimolante l’idea di un Universo destinato comunque a una fine. Una rivincita dell’umana caducità?

"Beh, concetti come precarietà e fragilità non sono adesso più solo collegati all’uomo, ma anche all’Universo. Filosofi, scienziati, teologi e politici potrebbero avere di che discutere per impostare una nuova visione del mondo e dei rapporti tra uomini: infatti se l’intera infrastruttura materiale che ci circonda può svanire, che senso ha confrontarsi sempre in termini così conflittuali come accade oggi?".

Torniamo al libro: ha il respiro del racconto avventuroso... 

"Si parla di fisica, ma soprattutto di una storia affascinante che ha coinvolto una generazione di scienziati, almeno dagli anni Ottanta, a coltivare il sogno di verificare l’esistenza del Bosone, in una avventura dominata da molte incertezze, sconfitte, passi avanti, dubbi e ipotesi fino al successo finale. Tra le pagine affiora una storia molto umana, arricchita da aneddoti e ricordi personali".

Il momento più difficile?

"Sicuramente il 19 settembre 2008, una decina di giorni dopo la messa in moto dell’acceleratore di particelle al Cern. Si verificò un guasto tecnico, molto serio: una delle 12mila saldature dell’impianto era difettosa e avvenne un’esplosione che danneggiò l’impianto costringendoci a lunghi mesi di stop. Poi siamo ripartiti e, grazie a fortissima motivazione e a un eccezionale gioco di squadra, abbiamo centrato l’obiettivo".

Un aneddoto pisano?

"A un certo punto si sparse la voce-del tutto infondata- che il nostro esperimento avrebbe generato un immenso buco nero capace di ingoiare prima Ginevra e poi tutto il pianeta. E negli Stati Uniti due scienziati promossero anche un’azione legale accusando il governo di finanziare una macchina infernale. La cosa venne ripresa dai media. Eravamo alla vigilia delle prime collisioni di Lhc e proprio la sera precedente il giorno fatidico mi arrivò una mail da un amico pisano, Sergio Bontempelli che, preoccupato, mi chiedeva se quella sarrebbe stata davvero l’ultima notte del nostro mondo. Perché in quel caso non avrebbe esitato a cucinare alla griglia tutta la riserva di salsicce che aveva in casa con l’aggiunta di una buona bottiglia. Lo tranquillizzai e per il bene del suo fegato lo invitai alla moderazione in cucina..." 

Al Cern lavoravano per l’esperimento circa 3mila persone, un terzo dei quali studenti. Che messaggio dare ai giovani che oggi si avvicinano alla fisica nei nostri atenei?

"La Scuola pisana gode di ottima fama ed è portata in palmo di mano in tutto il mondo. Il nostro punto debole è il sistema Paese. I nostri ragazzi sono in grado di competere ad altissimo livello, ma hanno poi difficoltà a trovare sbocchi nel mondo accademico, mentre altrove è normale che i più bravi diventino professori. Finisce che noi li formiamo e poi i nostri migliori vanno a insegnare all’estero”.

Mancano prospettive dunque?

"Io sono ottimista per natura e dunque dico che serve sostegno alla ricerca e all’Università. Vedo segnali di apertura con nuovi fondi per assunzioni e posti negli atenei. Bene, dunque, avanti così perché dobbiamo essere noi in grado, non solo di garantire un posto permanente ai nostri giovani migliori, ma di attirare nelle nostre università i cervelli stranieri e non il contrario".