Tra danza e misteri, cinque ballerini interpretano Hitchcock

Al Teatro Verdi l'ultimo lavoro del coreografo Emilio Calcagno

Emilio Calcagno

Emilio Calcagno

Pisa, 30 gennaio 2016 - Esplorare Hitchcock attraverso i movimenti del corpo. Dare una forma alla suspence e alla paura danzando l'ansia e l'angoscia. Una sfida quella che il coreografo Emilio Calcagno, italiano con una carriera tutta francese, propone insieme alla sua compagnia Eco, sul palcoscenico del Teatro Verdi la sera del 4 febbraio alle ore 21. 'Gli Uccelli', 'Psyco', 'La finestra sul cortile' fanno parte di un immaginario collettivo che lo spettacolo rievoca attraverso oggetti, emozioni, musica e suoni, ma senza mai usare le immagini dei film.

E' l'atmosfera che Emilio Calcagno vuole catturare nella sua creazione coreografica originale, 'Les vertiges d'Hitchcock', giocando tra colpevolezza e innocenza, giustizia e ingiustizia. La scena si apre con un uomo assassinato in mezzo al palcoscenico, un coltello e cinque colpevoli o, forse sospettati. Il resto fa parte di quello speciale rapporto tra cinema e danza che lui ci racconta. ­ Hitchcock è il maestro del brivido.

Proveremo paura nel guardare lo spettacolo?

"Un po' sì perché c'è suspence fin dall'inizio. Luci, musiche, danza e drammaturgia sono le componenti principali di questa pièce che vuole analizzare la grammatica hitchcockiana". ­

Si fa riferimento ad alcuni film?

"Chi conosce i film di Hitchcock potrà trovare delle rispondenze, ma la coreografia è aperta a tutto il pubblico, anche a chi non conosce il suo cinema. Basta stare al gioco, perché di un gioco si tratta".

­Ma alla fine si scopre il colpevole?

"Eh no! Così sarebbe stato troppo facile. Semmai si pongono degli interrogativi. Hitchcock diceva che si uccide come si fa l' amore e si fa l'amore come si uccide. Si tratta di capire quali sono le risposte del nostro tempo a una serie di situazioni, dalla scoperta di un cadavere a un uomo che fugge. Sul palcoscenico ritroveremo tutti gli oggetti usati dal maestro del brivido, dai coltelli alle forbici. E anche lo stereotipo della donna che lui ci ha descritto: bionda e glaciale. Quindi vedremo donne gelide con parrucche bionde, ma anche una di loro che rifiuta questi schemi. Perché le donne oggi sono forti, intelligenti, molto diverse rispetto a quelle che ci descrive Hitchcock, non hanno più gli stessi interessi, né le stesse fobie. Ovviamente dallo spettacolo, come sempre d'altronde, ognuno poi porta a casa ciò che lo ha colpito di più". ­

Perché proprio Hitchcock?

"L'interesse parte dall'infanzia. Mi ricordo i suoi film che vedevo all'ora di pranzo e oggi ho voluto osservare come un corpo si muove di fronte a certe situazioni di angoscia o di paura". ­

Cinema e danza sono fratello e sorella, oppure amanti? Che rapporto c'è tra loro?

"Sicuramente sono parenti. Trovo che il rapporto sia molto stretto e a me piace giocare con gli elementi che ci propone il grande schermo. All'inizio avevo pensato a Fellini, ma poi mi è sembrato troppo facile. Cercavo una sfida e non c'è dubbio che l'ho avuta. D'altronde Hitchcock era un manipolatore di pubblico che partiva da situazioni psicologiche complesse che riguardavano se stesso. Basti pensare che quando era piccolo e combinava qualcosa, il padre gli dava una lettera che doveva consegnare ai poliziotti, i quali poi lo tenevano due o tre ore chiuso in cella da solo...." ­

Lei ama il thriller?

"Al cinema vado a vedere un po' tutto. Però il thriller mi piace. Soprattutto mi piace il fatto di aver paura e di dar paura agli altri. Ad esempio la ragazza che apre la scena ha una paura fobica dei coltelli. Sarà lei a raccoglierne uno e questo rende l'immagine più credibile". ­

Quanti ballerini per questa pièce?

"Cinque in tutto; 2 francesi, un russo, un asiatica e un italiano. Ognuno di loro ha dato una sua dimensione della paura perché ogni cultura dà risultati diversi". ­

Come è nata la sua passione per la danza?

"Ancora una volta dalla Tv. Adoravo Raffaella Carrà e guardandola mi nacque la voglia di ballare. Così ruppi il salvadanaio e andai ad iscrivermi ad una scuola di danza. Ma era gestita dalle suore, le quali mi risposero che ballare era una cosa da bambine e mi rimandarono indietro. Però l'anno dopo a Catania, dove io abitavo, nacque un'altra scuola di musica. Presi di nuovo i miei piccoli risparmi e andai ad iscrivermi. Questa volta andò bene. Ai miei genitori lo dissi alcuni mesi dopo, ma non ci trovarono niente da ridire. In realtà mi hanno sempre sostenuto nelle mie scelte". ­

Però poi è andato via dall'Italia...

"Sono andato in Francia nel 1989. Professionalmente tornerò in Italia nella prossima stagione con un lavoro autobiografico che si chiama 'Catania, Catania'. E' un po' come chiudere un circolo dopo 26 anni di assenza".