La stazione, viaggio nella terra di nessuno

La nostra inchiesta sul degrado: ladri, pusher e sbandati accolgono i turisti

Un servizio di pattuglia della polizia municipale in viale Gramsci, a due passi dalla stazione ferroviaria

Un servizio di pattuglia della polizia municipale in viale Gramsci, a due passi dalla stazione ferroviaria

Pisa, 26 luglio 2015 - E la porta di accesso alla città per chi arriva in treno. E perché no? Anche in aereo. E’ da qui che il turista inizia il suo viaggio a Pisa. E il biglietto da visita che trova non è certo dei migliori. Nonostante, infatti, gli sforzi compiuti l’area è ancora ‘terra di mezzo’. Te ne accorgi subito, appena esci dall’atrio della Stazione. Al di là del via vai di viaggiatori noti immediatamente la presenza invadente di chi chiede gli «spiccioli per comprare il biglietto. Sai ho perso il portafogli e non so come fare». Gli occhi persi, il viso sudato e le mani che tremano raccontano che la crisi d’astinenza sta montando. Ma nella fretta c’è sempre qualcuno che ci cade. E tira fuori quello che ha nelle tasche. Capita. Avanti un altro.

Ecco che si fa avanti un giovane dai capelli scuri, il volto solcato da una cicatrice e il braccio ingessato. «Vuoi un anello?», domanda in un italiano stentato mentre apre il pugno della mano da cui spunta, appunto, un gioiello d’oro. Chissà dove l’ha preso. Forse da quella signora, davanti, ferma ad aspettare di salire sul taxi. Tutto può accadere. E due occhi non bastano mai. Anche perché, mentre stringi lo zaino sulle spalle, con la coda degli occhi vedi arrivare un ragazzo a torso nudo. Camminata decisa e viso tirato in una smorfia. Di dolore o di che altro non fai in tempo a capirlo. Perché con un pugno è già partito a colpire un altro ragazzo seduto su una delle strambe panchine che adornano la fontana e la sua vasca. Uno, due, tre colpi. Così, a freddo. Ma il ‘prescelto’ non cade a terra ko come sotto i ganci simili a quelli che assestava (il fu campione) Mike Tyson. Benché dondoli per qualche secondo su se stesso, non cede. Anzi. Sfodera una risposta che spiazza l’aggressore. Ma ecco che dal nulla spuntano subito altri ragazzi. Che cercano di separarli. Mentre intorno viaggiatori e turisti sgranano gli occhi. Impauriti. Pronti solo ad accellerare il passo per evitare di trovarsi coinvolti. Ma la strada da fare è davvero tanta. Già, perché, se è vero che a passo veloce uno si ritrova subito sotto i portici di viale Gramsci, è anche vero che l’incubo non è ancora finito. Anzi. Rischia di assumere ulteriori gradazioni. Appoggiati alle colonne o seduti sui gradini dei negozi ci sono decine di personaggi. Non quelli che, solitamente, animano i reality show. Al massimo possono andare a riempire gli album segnaletici delle forze dell’ordine. Discutono tra loro. Vanno avanti e indietro. Una ragazza cammina barcollando. In mano una bottiglietta d’acqua. Si avvicina ad un immigrato. Gli farfuglia qualcosa all’orecchio. Lui si mette le mani in tasca. E, intato, dietro di lei arriva, trottorellando un bambino di non più di 18 mesi. Il ciuccio in bocca e una tutina che avrebbe bisogno di un passaggio in lavatrice. Ma tant’è. Inutile chiedersi cosa stia cercando la mamma.

Poco distante un gruppetto sosta davanti alla sala giochi. Ci ripassi dopo quattro ore e sono sempre lì. Sarà il loro giorno libero ti viene voglia di pensare. Poi, però, ci ripassi anche dopo qualche altro giorno e li ritrovi nella stessa posizione. E allora ti chiedi se il job act sia il nome di un nuovo gioco d’azzardo. Più che la riforma per sbloccare il mercato del lavoro. Quel mercato che, invece, amministrano con precisione alcuni uomini di origine rumena che soggiornano all’angolo con la Galleria Gramsci. Arrivano presto la mattina intorno alle 7.15. Poco dopo arrivano dei pulmini da cui scendono donne e ragazzini. Si raccolgono intorno. Come se fosse un briefing prima di una missione. Difficile capire tutte le parole. Le bocche, già, a quell’ora sono impastate di birra.

Ma quando danno il rompete le righe. Non ci vuole molta fantasia a compredere quello che si sono detti. Da sotto i vestiti spuntano stampelle, cappelli e bicchieri di carta improvvisati cestini per la questua. Ognuno ha il suo posto assegnato. Chi al semaforo di via dei Condotti, chi a quello di via Bonanno, incrocio via Gabba, chi al ponte dell’Impero. E così via. «Vietato tornare a mani vuote», è l’unico ordine scandito con tono militare. Il racket dell’elemosina funziona così. Anche per questo quando nelle settimane scorse in strada c’era una donna che, in preda al crak, dava in escandescenze e si denudava i primi ad inveire contro di lei erano proprio loro. Troppa confusione richiama polizia e carabinieri. E non va bene.