I mattoncini "Lego" di Spota: "La danza è tecnica, ma fatta col cuore"

Con "Antitesi" e "14'20''" il trittico in scena al teatro Verdi giovedì 11 alle 21

Giuseppe Spota nella foto di Sebastian Muth

Giuseppe Spota nella foto di Sebastian Muth

Pisa, 8 febbraio 2016 -  Si chiama Lego e si pronuncia 'legàmi'. Quelli d'amore, di amicizia, di conoscenza; quelli che tutti noi abbiamo nel corso della vita e che ci portano chissà dove. Sono i ponti, le 'sliding doors', i mattoncini che si incastrano e poi si staccano per andare ad unirsi ad altri mattoncini e insieme formare un palazzo, un castello, oppure una nave, quella della nostra esistenza. Proprio come nel gioco da cui lo spettacolo ha preso in prestito il titolo ­ Lego ­ e proprio come il coreografo Giuseppe Spota, fa muovere i danzatori di Aterballetto, il più famoso ensemble di danza italiana.

Lego è il primo titolo della trilogia che sarà presentata al Teatro Verdi giovedì alle 21. Insieme a questa pièce vedremo Antitesi, per la coreografia di Andonis Foniadakis, e 14'20" di Jiri Kylian. Un trittico che dimostra la versatilità di Aterballetto e in cui sono affiancati autori internazionali e nuovi talenti del nostro Paese.

Giuseppe Spota è un giovane coreografo, ex danzatore che aveva iniziato la sua esperienza in Italia per poi continuare in Germania, dove ha vinto il prestigioso Faust. Vincitore di altri riconoscimenti come coreografo, è recentemente tornato in Aterballetto come creatore, firmando Lego, che ci racconta così: "La vita ci porta a fare tanti incontri: persone che si trovano e poi si perdono, poi magari si ritrovano. E nessuno sa come la storia, anzi le storie, andranno a finire. Sul palcoscenico si racconta quella di due ragazzi che si sono incontrati e poi hanno fatto le loro scelte e poi....poi sarà il pubblico ad immedesimarsi, emozionarsi di fronte alla loro vita. Mi piace molto che il pubblico partecipi"

­Dunque la nostra esistenza è fatta di tanti tassellini a incastro?

"La vita è un continuo raccogliere mattoncini con cui si costruisce qualcosa. Mi interessano le coincidenze, capire come queste ci portano da una parte o da un'altra". ­

Molte le coincidenze nella sua vita?

"Sì, varie e interessanti. La vita ti porta con sé e poi ci sono i momenti delle scelte. Mia mamma mi ha sempre detto che ho ballato fin da piccolino, ma solo quando avevo 11 anni cominciai ad andare a scuola nel mio paese, in provincia di Bari. Da qui la scelta di spostarmi a Firenze quando di anni ne avevo 16 e mezzo. E' stato un cambiamento drastico perché ho cominciato a imparare le basi classiche che mi hanno portato a varie e interessanti esperienze in Italia. Ma a 22 anni volevo ancora continuare a conoscere e allora la strada mi ha condotto in Germania. Ora mi ha riportato in Italia. Tutte queste scelte, di cui fanno parte persone e amicizie, hanno aumentato il mio bagaglio personale. Sono contento di ciò che ho seminato e raccolto e sono contento di quello che hanno potuto prendere da me tutti coloro che ho incontrato".

­Se tornasse indietro?

"Rifarei tutto perché tutto mi ha dato un senso". ­

Neanche un rimpianto?

"Uno forse sì. Avrei tanto voluto lavorare con Sidilarbi Cherkaoui, coreografo di fama internazionale, ma i miei tasselli non si sono mai incastrati con i suoi. Nessuna coincidenza, per ora. Ma la vita è piena di sorprese: chissà che non ci incrociamo prima o poi". ­

Prima danzatore, poi coreografo. Quale delle due attività preferisce?

"A caldo direi la coreografia...ma ogni tanto sento l'esigenza di ballare. E quando posso lo faccio. Sono attività diverse, ma entrambe mi danno emozioni".

­Quali sono le tre cose più importanti per un giovane che volesse intraprendere questa arte?

"La versatilità è molto richiesta: è fondamentale saper passare dal classico al contemporaneo. Al secondo posto metterei la musicalità e poi, importantissima, la personalità. Noi non abbiamo voce, non usiamo le parole, quindi dobbiamo interpretare con il corpo, riuscire a comunicare sia con il piccolo che con il grande gesto". ­

La bellezza non conta niente?

"Un po' sì e un po' no. Non bisogna essere sempre alti e atletici per essere bravi. L'artista si vede anche al di là del fisico, quindi anche persone meno dotate fisicamente, ma con grande musicalità e personalità danno risultati sorprendenti. Come in tutte le cose ci vuole il giusto equilibrio".

­Dunque la danza è più cuore che tecnica?

"La tecnica ci vuole, ma fatta col cuore. Sempre. Altrimenti si fanno solo passi e passi senza dire niente". ­

Lei conosce sia l'Italia che la Germania. Ci dica le differenze...

"In Germania faccio fatica a vedere i teatri vuoti. In Italia faccio fatica a vedere i giovani al teatro. Questo mi dispiace e mi fa anche rabbia. Non parlo solo della danza, ma del teatro in generale. Il fatto è che questa generazione avrebbe a disposizione una grande arma: la tecnologia. Però la usa in maniera sbagliata, egocentrica direi. Mettono tutto su youtube e poi si riguardano. Ma a che serve? Perché non usare questi strumenti per fare ricerca, per approfondimenti, per creare cose nuove? La scuola non li educa in questa direzione. Spesso i giovani al teatro non vanno perché hanno paura di annoiarsi. Mancano di curiosità. E questo significa buttare via dei 'mattoncini' e perdere le occasioni della vita".