Pisa, 8 febbraio 2016 - Si chiama Lego e si pronuncia 'legàmi'. Quelli d'amore, di amicizia, di conoscenza; quelli che tutti noi abbiamo nel corso della vita e che ci portano chissà dove. Sono i ponti, le 'sliding doors', i mattoncini che si incastrano e poi si staccano per andare ad unirsi ad altri mattoncini e insieme formare un palazzo, un castello, oppure una nave, quella della nostra esistenza. Proprio come nel gioco da cui lo spettacolo ha preso in prestito il titolo Lego e proprio come il coreografo Giuseppe Spota, fa muovere i danzatori di Aterballetto, il più famoso ensemble di danza italiana.
Lego è il primo titolo della trilogia che sarà presentata al Teatro Verdi giovedì alle 21. Insieme a questa pièce vedremo Antitesi, per la coreografia di Andonis Foniadakis, e 14'20" di Jiri Kylian. Un trittico che dimostra la versatilità di Aterballetto e in cui sono affiancati autori internazionali e nuovi talenti del nostro Paese.
Giuseppe Spota è un giovane coreografo, ex danzatore che aveva iniziato la sua esperienza in Italia per poi continuare in Germania, dove ha vinto il prestigioso Faust. Vincitore di altri riconoscimenti come coreografo, è recentemente tornato in Aterballetto come creatore, firmando Lego, che ci racconta così: "La vita ci porta a fare tanti incontri: persone che si trovano e poi si perdono, poi magari si ritrovano. E nessuno sa come la storia, anzi le storie, andranno a finire. Sul palcoscenico si racconta quella di due ragazzi che si sono incontrati e poi hanno fatto le loro scelte e poi....poi sarà il pubblico ad immedesimarsi, emozionarsi di fronte alla loro vita. Mi piace molto che il pubblico partecipi"
Dunque la nostra esistenza è fatta di tanti tassellini a incastro?
"La vita è un continuo raccogliere mattoncini con cui si costruisce qualcosa. Mi interessano le coincidenze, capire come queste ci portano da una parte o da un'altra".
Molte le coincidenze nella sua vita?
"Sì, varie e interessanti. La vita ti porta con sé e poi ci sono i momenti delle scelte. Mia mamma mi ha sempre detto che ho ballato fin da piccolino, ma solo quando avevo 11 anni cominciai ad andare a scuola nel mio paese, in provincia di Bari. Da qui la scelta di spostarmi a Firenze quando di anni ne avevo 16 e mezzo. E' stato un cambiamento drastico perché ho cominciato a imparare le basi classiche che mi hanno portato a varie e interessanti esperienze in Italia. Ma a 22 anni volevo ancora continuare a conoscere e allora la strada mi ha condotto in Germania. Ora mi ha riportato in Italia. Tutte queste scelte, di cui fanno parte persone e amicizie, hanno aumentato il mio bagaglio personale. Sono contento di ciò che ho seminato e raccolto e sono contento di quello che hanno potuto prendere da me tutti coloro che ho incontrato".
Se tornasse indietro?
"Rifarei tutto perché tutto mi ha dato un senso".
Neanche un rimpianto?
"Uno forse sì. Avrei tanto voluto lavorare con Sidilarbi Cherkaoui, coreografo di fama internazionale, ma i miei tasselli non si sono mai incastrati con i suoi. Nessuna coincidenza, per ora. Ma la vita è piena di sorprese: chissà che non ci incrociamo prima o poi".
Prima danzatore, poi coreografo. Quale delle due attività preferisce?
"A caldo direi la coreografia...ma ogni tanto sento l'esigenza di ballare. E quando posso lo faccio. Sono attività diverse, ma entrambe mi danno emozioni".
Quali sono le tre cose più importanti per un giovane che volesse intraprendere questa arte?
"La versatilità è molto richiesta: è fondamentale saper passare dal classico al contemporaneo. Al secondo posto metterei la musicalità e poi, importantissima, la personalità. Noi non abbiamo voce, non usiamo le parole, quindi dobbiamo interpretare con il corpo, riuscire a comunicare sia con il piccolo che con il grande gesto".
La bellezza non conta niente?
"Un po' sì e un po' no. Non bisogna essere sempre alti e atletici per essere bravi. L'artista si vede anche al di là del fisico, quindi anche persone meno dotate fisicamente, ma con grande musicalità e personalità danno risultati sorprendenti. Come in tutte le cose ci vuole il giusto equilibrio".
Dunque la danza è più cuore che tecnica?
"La tecnica ci vuole, ma fatta col cuore. Sempre. Altrimenti si fanno solo passi e passi senza dire niente".
Lei conosce sia l'Italia che la Germania. Ci dica le differenze...
"In Germania faccio fatica a vedere i teatri vuoti. In Italia faccio fatica a vedere i giovani al teatro. Questo mi dispiace e mi fa anche rabbia. Non parlo solo della danza, ma del teatro in generale. Il fatto è che questa generazione avrebbe a disposizione una grande arma: la tecnologia. Però la usa in maniera sbagliata, egocentrica direi. Mettono tutto su youtube e poi si riguardano. Ma a che serve? Perché non usare questi strumenti per fare ricerca, per approfondimenti, per creare cose nuove? La scuola non li educa in questa direzione. Spesso i giovani al teatro non vanno perché hanno paura di annoiarsi. Mancano di curiosità. E questo significa buttare via dei 'mattoncini' e perdere le occasioni della vita".