Dai banchi del mercato alla Coppa Uefa. La parabola di Vitale. Che ora scommette tutto sul Pisa: ''In B vincendo sul campo''

Viaggio nel mondo del ''diesse'' con la quinta elementare. Che portato l'Empoli in Europa e la Lucchese alle soglie della serie A. ''Le mie università sono state il campo e la strada. Braglia? Uno dei migliori''.

Il direttore sportivo del Pisa Pino Vitale

Il direttore sportivo del Pisa Pino Vitale

Pisa, 19 settembre 2014 - «Vorrà dire che in categoria superiore ci arriveremo vincendo sul campo, in fondo è per questo che siamo venuti a Pisa. E poi è da lì che viene tutto quello che di buono sono riuscito a fare, sia nel calcio che nella vita». E’ uomo di campo Pino Vitale, 67 anni, il direttore sportivo con la quinta elementare, che ha portato la Lucchese ad un passo dalla serie A e l’Empoli in Coppa Uefa. E che, ora, ringrazia «di cuore il presidente Battini per la straordinaria possibilità che mi ha dato di avviare un progetto per riportare il Pisa nel calcio che conta». Ed è proprio sul campo che si è «rifugiato» per ricaricarsi e anche un po’ per scaricare rabbia e amarezza dopo la delusione del mancato ripescaggio in cadetteria. «In fondo – sorride – è proprio ai campi di calcio e alla strada che devo tutto quello che sono. Nel bene e nel male».

Sarebbe a dire?

«Che sono cresciuto in un quartiere popolare di Firenze da una famiglia operaia. Ero il secondo di nove fratelli, soldi non ce n’era e dovetti subito andare a lavorare per aiutare la famiglia. Quindi non ho studiato: non è una battuta, ho davvero la licenza elementare. Però ho imparato tanto alla scuola della strada …».

Però le sarebbe piaciuto studiare?

«Non ho potuto pormi il problema. Da ragazzo avevo la necessità di aiutare la mia famiglia e l’ho fatto facendo di tutto, incluso il macellaio e il pescivendolo. E un grande sogno che era quello di fare il calcio. Fortunatamente sono riuscito in entrambe le cose».

Mica ci dirà che Pino Vitale sapeva anche giocare a pallone?

«E invece glielo dico (ride ndr). Ho sempre giocato in serie D, ma mai fra i dilettanti. A Quarrata, nel Camaiore di Orrico, a Pistoia e con la Rondinella, la seconda squadra di Firenze, dove ho conosciuto anche Renzo (Melani ndr) che mi ha allenato. Lui dice che ero lento, però ero un trequartista che faceva lo stesso un sacco di gol».

Da direttore sportivo, però, le è andata meglio.

«Sì, ma solo perché da calciatore non ho mai trovato un buon «diesse» (ride ndr). Lo stessa sfortuna che ha avuto finora Braglia …».

Si spieghi.

«Per lui parlano i risultati visto che ha vinto quattro campionati. Ma, ormai, è qualche mese che siamo insieme e posso confermarle senza problemi che è uno degli allenatori più capaci con cui abbia mai lavorato. Finora ha avuto dal calcio molto meno di quello che merita forse proprio perché gli è sempre mancato al fianco un bravo direttore».

Lei, invece, pensa di avere avuto dal calcio il giusto?

«Penso di sì. Ho vinto molto e mi sono divertito …».

Perché non ha mai lasciato la Toscana?

«Scelte di vita. Ho una famiglia con nove fratelli e dovevo dare una mano a tutti. Anche perché, oltrechè nel calcio, ho avuto un po’ di fortuna pure come imprenditore, partendo da un banco di “cocci”, ossia di vettovaglie da cucina, al mercato di San Frediano e ho dovuto anche seguire le aziende»

Quindi non ha bisogno del calcio per vivere?

«Il pallone mi ha dato tantissimo, ma non da mangiare e questa è la mia grande fortuna perché ho sempre potuto avere un rapporto franco e diretto con i miei presidenti …».

A proposito quello con Battini com’è?

«Ottimo e improntato alla massima chiarezza: quando mi ha chiamato, gli ho detto subito che sarei venuto solo per vincere. Gli prospettato quanti soldi avrebbe dovuto perdere quest’anno per salire subito in cadetteria con l’obiettivo però di realizzare un progetto vincente e redditizio in categoria superiore: con me, infatti, in serie A e B i presidenti non hanno mai rimesso …».

E il patron nerazzurro come ha reagito?

«Ha accettato con entusiasmo. E gliene sono grato perché mi ha dato l’opportunità di fare calcio con obiettivi importanti in una piazza come questa che, di giorno in giorno, si sta rivelando sempre più coinvolgente di quello che avevo immaginato …».

Mica si starà arruffianando con i tifosi?

«Guardi, non sono il tipo. E non mi sembra neppure che gli sportivi pisani si prestino. Però quello che ho visto quest’estate a Fiumalbo con la Correggese, tanto per farle un esempio, è cosa che non si possono permettere nemmeno diversi club di serie A».

Quindi?

«O si vince o falliamo l’obiettivo».

Il mancato ripescaggio non ha lasciato strascichi?

«No, ormai è storia passata».

A mente fredda ridirebbe le stesse cose pronunciate a caldo?

«Mi spiace che qualcuno ci sia rimasto male, ma ho detto quello che pensavo in quel momento. Non sarei me stesso se non lo facessi. In ogni caso con tutti i collaboratori della società il rapporto è ottimo».

Sul mercato, invece, ha fatto tutto quello che aveva in mente?

«Quasi tutto. Avevamo chiuso anche per Fazi, oggi titolare in B a Perugia. Ma qualcuno non ha mantenuto la parola data …»

La Fiorentina?

«Lo ha detto lei».

Anche gli ultimi giorni di mercato sono davvero andati come voleva?

«Avevamo pronti quattro colpi importanti per la B e due di questi li avrei portati anche in Lega Pro, se avessero accettato di scendere di categoria».

Dispiaciuto?

«Per niente. Fra l’altro all’inizio pensavamo di cambiare molti più giocatori, ma poi abbiamo scoperto le grandi qualità di elementi come Arma, Pellegrini, Napoli e Rozzio …».

Si è dimenticato Giovinco?

«No, lui lo conoscevo già dato che fui io a portarlo allo Spezia in B. La sua conferma non è mai stata in discussione».