Omicidio di Ivan, la pista religiosa. "Fu una lotta tra il bene e il male"

Il 27enne russo fece un volo mortale dal balcone del quarto piano di un condominio in via Matteucci a Cisanello. L’avvocato di parte civile apre a nuovi scenari.

Omicidio via Matteucci

Omicidio via Matteucci

PIsa, 19 febbraio 2018 - «Non futili motivi, ma motivi abietti» nella morte di Ivan Tikhomirov. Lo sottolinea l’avvocato Corrada Giammarinaro, parte civile per l’associazione «Unità migranti in Italia» di cui Tikhomirov era presidente, che sta lavorando alle dichiarazioni d’appello contro la sentenza che ha condannato l’uomo che lo ha ucciso, Tomasz Dariusz Warda, a 12 anni di carcere in abbreviato per omicidio preterintenzionale.

La Procura aveva chiesto l’ergastolo per omicidio volontario, fattispecie di cui l’associazione – come gli stessi familiari della vittima, rappresentati dall’avvocato Stefano Del Corso – ritengono debba essere ritenuto responsabile il Warda. Una morte, quella di Ivan (il 27enne russo fece un volo mortale dal balcone del quarto piano di un condominio in via Matteucci a Cisanello), che per l’avvocato Giammarinaro avvenne sullo sfondo di ragioni più profonde di quelle di una semplice serata di baldorie e balordi di cui il polacco sarebbe stato avvezzo trasformare la casa: quella colluttazione, nel settembre 2016, sarebbe stata «una sorta di lotta tra bene e male». Da un parte Ivan, religioso, legato ai Vecchi Credenti di Russia, e dall’altra Warda, 39enne ex militare polacco, esperto di arti marziali e badante per necessità, che lo sfida in un contesto che andrebbe ben oltre i fumi dell’alcol. «Ivan non si sottrae – spiega il legale – accetta la sfida che si concluderà in modo tragico».

«Non a caso – prosegue l’avvocato – Ivan fu trovato senza quella catenina con appeso un simbolo religioso dal quale non si separava mai e non si sarebbe separato mai: gli inquirenti la trovarono nel cestino, non in un luogo qualsiasi, ma nella spazzatura». Poi c’è un altro aspetto: Warda, dal gup del tribunale di Pisa Giuseppe Laghezza, è stato condannato anche a due anni di reclusione per i maltrattamenti ai danni dell’uomo di cui era il badante. «In una circostanza lo avrebbe picchiato con una croce. Anche qui le percosse con la croce ci parlano di qualcosa in più, non sono botte con un oggetto qualsiasi – dice l’avvocato Giammarinaro –. Il simbolo religioso torna nelle azioni di quest’uomo e diventa l’oggetto che può infierire dolore».

La lite tra i due, secondo il copione portato al primo processo, fu accesa da un diverbio per 100 euro, per degenerare in un corpo a corpo. Per l’accusa Warda vide nel russo il possibile responsabile della mancanza dei soldi e gli si scagliò addosso fino a trascinarlo sul terrazzo per poi lasciarlo cadere. Il processo di primo grado ha accolto il teorema del difensore dell’imputato Rolando Rossi: c’è dimostrazione che la tragica caduta della vittima sia avvenuta «in conseguenza dell’azione combinata di percosse o spintonamenti, subiti ad opera dell’imputato, non intenzionalmente finalizzati a provocarne la caduta dal terrazzo (e quindi la morte) e della situazione di precario equilibrio in cui versava in quel momento». Le parti sono incamminate verso un secondo duello per stabilire i profili di penale responsabilità nella morte Ivan, dall’età di 12 anni in Italia, prima residente a Peccioli e poi a Pisa, volato dal quarto piano di un palazzo durante una lite. Ucciso per il legale dell’associazione di cui era presidente (ma appare scontato anche l’appello della Procura). Vittima di un incidente per la difesa.