Ivan morì cadendo dal quarto piano. Ma l’imputato «non poteva salvarlo»

La difesa punta a dimostrare che Warda «non ha forza nella mano destra»

Una volante della Polizia in una foto d'archivio

Una volante della Polizia in una foto d'archivio

Pisa, 20 settembre 2017 - La minorata capacità di una mano e le circostanze in un cui si sarebbe consumato il fatto dimostrerebbero, per la difesa, che Tomasz Dariusz Warda, 39 anni, ex militare polacco, non voleva uccidere, ma neanche poteva salvare, Ivan Tikhomirov, il 27enne russo caduto dal terrazzo del quarto piano di un condominio in via Matteucci a Pisa il 18 settembre 2016.

Così il penalista Rolando Rossi ha chiesto e ottenuto che Warda sia giudicato con rito abbreviato condizionato alla produzione della cartella clinica relativa all’intervento chirurgico a cui fu sottoposto nel 2015 a Cisanello e che interessò la mano destra: al fine di dimostrare la sua ridotta capacità fisica di questa parte del corpo. Tomasz Dariusz Warda comparirà davanti il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Pisa il prossimo 20 ottobre per difendersi dall’accusa di omicidio volontario aggravato del 27enne russo. Ad attenderlo, dunque, c’è un imputazione da ergastolo: il pm Aldo Mantovani gli ha contestato appunto, anche l’aggravante dei futili motivi.

Il difensore, con questa produzione documentale, cercherà di scrivere un altro copione di quella sera di baldoria e bevute: un copione nel quale non ci sarebbe stata la volontà di uccidere e Warda avrebbe anzi cercato di salvare il russo appeso al balcone, ma quella mano destra rimasta compromessa gli avrebbe impedito la presa forte necessaria a riportare il giovane sul terrazzo.

La vittima, dall’età di 12 anni residente a Peccioli e poi a Pisa, morì sul colpo. Tikhomirov era arrivato in Valdera intorno al 2000, insieme alla madre, figlia di un artista di San Pietroburgo, e che aveva trovato lavoro nel museo delle icone russe: così Ivan aveva frequentato le scuole medie nel paese prima di trasferirsi all’ombra della Torre.

All’arrivo della polizia, Warda fu trovato fuori dal condominio che chiedeva cosa fosse accaduto. Una posizione, la sua, che sarebbe presto stata confutata dagli inquirenti all’esito dei primi accertamenti sulla casa dove Warda faceva il badante e su chi era presente quella sera: oltre a vittima e accusato c’era altra gente, perché il polacco aveva l’abitudine di portare amici nella casa dell’uomo che assisteva.

Così, quella sera c’erano un ucraino e una connazionale che se ne andò prima del presunto scontro fisico dalle conseguenze mortali. Manca, tuttavia, un testimone oculare dell’evento, in quanto l’unico presente avrebbe girato gli occhi quando la scena della colluttazione – secondo l’accusa accesa dal diverbio su 100 euro – tra i due passò dalla stanza al terrazzo.

Un momento decisivo in cui si gioca penalmente una vicenda che, a seconda dove penderà la bilancia, può valere una condanna al carcere a vita, anche se questa poi dovrà tenere conto dei benefici della scelta del rito. L’ipotesi dell’omicidio preterintenzionale non ha trovato aperture nell’inchiesta della Procura. Le parti civili, la madre e la sorella della vittima sono assistite dall’avvocato Stefano Del Corso.