Molotov contro la Penitenziaria, al setaccio immagini e video

Si cercano risposte dalle telecamere. Nessuna rivendicazione

Le due auto danneggiate dalle fiamme  (foto Valtriani/Teta)

Le due auto danneggiate dalle fiamme (foto Valtriani/Teta)

Pisa, 21 giugno 2017 - Ancora nessuna rivendicazione è arrivata. E i responsabili dell’incendio appiccato a due auto della polizia penitenziaria, due notti fa, sono ancora sconosciuti. Il che non significa che gli investigatori abbiano abbandonato l’ipotesi della pista dalla matrice politica, e in particolare anarchica. Non sarà facile risalire a chi ha lanciato due bottiglie molotov, piene di liquido incendiario, probabilmente benzina, in via

D’achiardi. I testimoni parlano di tre persone incappucciate, ma hanno saputo fornire agli inquirenti pochi altri dettagli e le telecamere puntate sul cortile pur confermando la presenza di tre uomini non forniscono informazioni significative. Si confida, quindi, che siano le telecamere installate nella zona, soprattutto quelle di abitazioni e negozi privati, ad aiutare a ricostruire chi, alle due di lunedì mattina, si è avvicinato all’area in cui insistono il carcere e l’ufficio dell’esecuzione penale esterna.

Intanto anche l’assessore regionale alla presidenza della Toscana, Vittorio Bugli, ha espresso solidarietà alla polizia penitenziaria «che in tutta la Toscana ma in particolare a Pisa opera in condizioni difficili e con organico carente» ed ha auspicato «che gli inquirenti riescano a fare piena luce sull’episodio e ad assicurare alla giustizia gli autori di questo sconsiderato gesto di gratuita violenza».

La Cgil Fp di Pisa ha ribadito ieri, tramite Leonardo Fagiolini, che quanto accaduto segna «l’ennesima colpo ad un settore, quello dell’esecuzione penale esterna e di comunità, in gravissima sofferenza e fortemente provato dal nuovo processo di riorganizzazione che fatica purtroppo a decollare» ed ha espresso solidarietà ai lavoratori, ma anche a chi usufruisce di queste misure alternative al carcere perché questi gesti stupidi colpiscono un’intera comunità, creando disservizi. Quelle auto, acquistate con soldi pubblici, e quindi di tutti noi, servivano a garantire quotidianamente l’esecuzione della pena fuori dalle mura del carcere: non una pena minore né tanto meno simulata ma un diverso strumento, più aderente al mandato costituzionale e che riduce i costi per la collettività».