Pisa, 30 aprile 2014 - Continuando la nostra indagine sul percorso dei gruppi Scout Agesci, appartenenti ai Clan della zona pisana, e seguendoli nelle loro Strade di Coraggio verso la Route Nazionale, abbiamo avuto il piacere di incontrare il Clan “ Stella Marina”del gruppo Pisa 4 nella sede di Pontasserchio.

Questi giovani dai 17 ai 20 anni hanno intrapreso il percorso del “Coraggio di farsi ultimi”, concretizzandolo in un progetto di servizio con l’associazione “Dinsi Une Man” di Pisa. Dopo un momento iniziale di conoscenza con l’associazione attraverso attività con le persone disabili e incontri con gli operatori e psicologi, gli scout sono stati in grado di proporre diversi progetti all’associazione, tra cui la possibilità di trascorrere tre giorni insieme a qualche persona del “Dinsi une man” per aiutarli a conquistare indipendenza nella cura personale e della casa.

La scelta di questo percorso deriva, dopo un’analisi delle esigenze del territorio pisano, da un interesse del Clan a conoscere meglio la realtà della disabilità; infatti aggiungono con entusiasmo: “Crediamo che le persone disabili possano essere un aiuto per noi nel vedere il mondo da prospettive diverse rispetto a quelle a cui siamo abituati, grazie al loro modo di fare semplice e spontaneo”.

Questa collaborazione con l’associazione “Dinsi une man”, ci dice il Clan del Pisa 4, si protrarrà sicuramente fino a luglio, poco prima cioè della Route nazionale e, se il progetto avrà successo, probabilmente anche fino al prossimo anno, ma aggiungono che è ancora tutto da definire.

Parlando con loro, i ragazzi ammettono che consiglierebbero un’esperienza del genere ai propri coetanei; consiglierebbero soprattutto di fare un’esperienza di servizio di qualunque tipo perché porta ad un arricchimento personale e aiuta nel proprio percorso di crescita. Non a caso uno dei punti fondamentali della formazione scout è il servizio che, comunque e ovunque prestato, secondo il Clan “Stella Marina” aiuta a crescere e a toccare con mano certe realtà che, spesso, non sono conosciute fino in fondo. Grazie alla loro esperienza i ragazzi del Clan sono riusciti a conoscere meglio la realtà della disabilità, con i propri punti di forza, come la semplicità e l’umanità delle persone portatrici di handicap, e gli inevitabili punti deboli come i limiti fisici che esse hanno.

Quando chiediamo ai ragazzi come viene vista la disabilità oggi e quale sia il trattamento riservato alle persone portatrici di handicap ci rispondono che, grazie ai vari incontri con gli psicologi e con gli operatori dell’associazione, hanno maturato l’idea che spesso le persone disabili vengono fortemente limitate nella loro autonomia e, di conseguenza, sottovalutate nelle specifiche capacità che potenzialmente hanno. Secondo i ragazzi, infatti, accade che a una persona disabile venga impedito di “mettersi in gioco” e di sfruttare al massimo le proprie potenzialità nel corso di qualsiasi attività, anche le più semplici e quotidiane all’interno del semplice nucleo familiare. Ci raccontano inoltre che gli psicologi operanti nell’associazione “Dinsi une man” hanno avuto a che fare con persone con lievi disturbi dal punto di vista medico sulle quali, però, si radicano comportamenti tipici di malattie gravi a causa di questo atteggiamento deteriorante da parte di famiglie, strutture sanitarie o altro; spesso quindi la disabilità di partenza è sottoposta ad un deterioramento causato da fattori estranei alla malattia stessa.
Per cercare di valorizzare un disabile è necessario pertanto cercare di renderlo il più indipendente possibile, magari affidandogli un percorso terapeutico realisticamente adeguato ai disturbi che presenta ma costantemente aperto a margini possibili di miglioramento, legato alla possibilità di poter sfruttare a pieno le proprie capacità, senza aiuti superflui e non necessari alla sua autonomia.

Salutando i ragazzi, chiediamo loro come potrebbe essere riassunto questo percorso di coraggio in un motto, e subito ci rispondono “Siamo tutti dis-abili: diamoci una mano”: evidente il significato per cui i disabili, anche se non in grado di svolgere a pieno certe attività motorie, sono capaci di insegnare molte cose importanti della vita come la riscoperta dell’emotività (“siamo tutti dis-abili”).