IT WAS LOVE

  Ti ho osservato allontanarti, fino a quando non sei diventata un puntino piccolissimo in fondo alla strada.  Il mio riflesso appeso alla finestra si divideva in minuscoli frammenti, gocce di pioggia attaccate al vetro.
   Le lacrime del cielo si univano all’acqua del lago, immensa oltre la finestra, oltre la strada, oltre noi.
   Siamo così piccoli, eppure eravamo grandi, giganteschi in quella stanza troppo stretta per trattenerci. Le nostre ombre si confondevano, si mescolavano e creavano disegni inconsueti, nuovi, sulla parete bianca; respiro ora quella stessa aria e mi sembra così pesante, mi riempie il cuore e mi scaraventa a terra, in ginocchio, non ho più niente fra le mani e fra le braccia, solo una nuvola di ricordi che si dissolvono come cenere al vento. Non c’è più niente in questa stanza, è troppo grande per me.
   Vieni via con me, mi hai detto, accarezzandomi i capelli, i tuoi occhi avevano il sapore del mare e della luna appena nata, piccole gemme luminose e sottili, il tuo viso tra le mie dita le tue labbra sulle mie il mio respiro ancorato al tuo. Lo senti il mio cuore? Ancora batte, sotto la mia fragile armatura. Ti amo e non so più, se sei tu o il pensiero di te che mi manca. Mi piace immaginare che ora tu stia ridendo fra persone che non conosco, e che regali a loro ciò che una volta donavi a me. Illumini il cielo quando sorridi, come la più splendente fra le stelle.
   La stanza ora è vuota, c’è solo una sedia accanto alla finestra, l’aria è diventata più fresca, gli alberi più nudi, abbandonati dalle ultime foglie solitarie. Eppure non ho paura, sono nudo anch’io mentre mi immergo nel lago e sento l’acqua accarezzarmi e poi comprimermi la mente e il corpo.
   Vorrei fosse più facile riuscire a smettere di pensare, ma la mia mente è diventata fluida e si unisce ai pensieri del lago, ha nostalgia anche lui di quel corpo caldo che mille volte l’ha attraversato.

   Mio caro amico, ti ho sognato. Le strade erano vuote, immobili, il tuo fiato caldo diventava quasi solido nel momento in cui abbandonava il tuo corpo. No, tu non riuscivi a vedermi. Ti osservavo dalla nostra finestra, quella da cui ammiravamo l’immobilità del lago, e il suo essere allo stesso tempo sempre differente. E il nostro albero, era quasi nudo oramai, si trascinava  dietro le ultime foglie indurite, una aveva  una forma strana, sembrava l’Africa, se la guardavo da vicino. Poi ti sei tolto i vestiti, sei entrato nell’acqua, per un po’ sei scomparso e poi riemerso e poi nuovamente sparito. Allora ho ricordato quando era in me che entravi, ero io il tuo lago la tua acqua, era a me che ti univi per scomparire, e poi riemergere e poi ancora scomparire. Per un attimo ho avuto l’impressione che il tuo viso fosse accanto al mio, mi sembrava di sentire il profumo del tuo fiato sulla mia bocca, il naso, il collo; non volevo aprire gli occhi, non volevo che l’illusione di te morisse come una foglia che abbandona il suo albero. E invece mi sono svegliata.

   Un riflesso d’argento colora il fondo del lago, dove l’acqua non è profonda e ancora si lascia penetrare completamente dai deboli raggi del sole. Emergo, guardo verso la nostra finestra e mi sembra di vederti. Hai addosso un vestito fatto di fiori, leggero come la primavera. Lo indossavi la prima volta che rimanemmo chiusi e soli, in quella stanza. Non so per quanto tempo, una vita e un attimo, insieme. Eri seduta sul letto, accanto a me, e io non sapevo cosa dire; il tuo odore mi stordiva, l’odore della tua pelle giovane misto a quello di lacrime appena cancellate. Avvicinai le mie labbra al tuo collo e lo baciai piano, come chi con timore esplora una landa ignota, esotica, selvaggia.

   “La vuoi una storia?”, sono distesa, su un prato gli occhi all’insù; un mare di capelli è proprio sopra la mia faccia, ondulati e dorati sotto la mutevole luce del sole. “La vuoi una storia?”, mi ripete, con le sue labbra leggermente arricciate, i denti bianchi sporgenti e gli occhi del colore dei campi appena seminati. Ha in mano un mucchietto di fogli ritagliati irregolarmente, “scegline una, è per te”. Allungo una mano e ne prendo una, a caso, e lei si allontana, con le sue storie e i suoi capelli ondeggianti. La vedo avvicinarsi ad un bambino, e poi a una coppia di ragazzi abbracciati, e ad una signora anziana, seduta su una panchina con un giornale in mano.
   “La vite e l’albero vecchio
   La vite, invecchiata sopra l’albero vecchio, cadde insieme alla rovina di quest’albero, e fu per la triste compagnia a mancare insieme a quello.
   Leonardo da Vinci”

   Forse sei davvero tornata da me. Vorrei che non fosse solo la mia immaginazione. Lascio il lago e i suoi pensieri, raccolgo i vestiti  ammucchiati sulla riva e rientro in casa. Provo a chiamarti, a cercarti, non ci sei; la mia voce torna indietro come un boomerang e mi fa male; ritorno nella nostra stanza, anche il tempo sembra averla abbandonata, è come se fosse un luogo oltre il mondo oltre noi. Anche l’unica candela accesa continua a far oscillare la sua fiamma, sembra  invincibile. Ma basta un soffio per spegnerla.

   Sto cadendo, e cado insieme all’albero vecchio che è morto, prima di me. La terra si apre, diventa obliqua, ed è come se precipitassi giù, progressivamente; precipito, come un albero che cade, precipito, e solo il fuoco al centro della terra potrà incendiarmi e spegnermi, definitivamente.
   Intravedo il tuo riflesso, lontano, soffi, verso di me, vuoi calmare le fiamme ma scateni l’incendio, il fuoco avvampa ed emerge, in superficie, e brucia tutto, i capelli dorati il bambino i ragazzi che si abbracciano la signora sulla panchina.
   Poi mi ritrovo in piedi, nessun soffio o fiato, è solo il vento, che muove le foglie verdi degli alberi e i miei capelli, e i vestiti sottili che indosso. Non ci sei, non più, sei al centro della terra fra il fuoco e le fiamme, e mi hai lasciata qui, dall’altra parte, senza portarmi con te.
   “Ti amo”, parole sussurrate all’aria sperando che il polline le porti via con sé, “Ti amo e non so più, se sei tu o il pensiero di te che mi manca.”
   E ora non ho più niente, la mia pelle e le mie ossa si accartocciano intorno al vuoto che ho dentro; non mi è rimasto nulla, il mio corpo è così leggero che spero possa volare via e di addormentarmi ancora, scaldata dal sole, avvolta dal tuo amore ora così distante.
   Cammino a passi lenti, fra gli alberi e la gente, fra il verde e l’oro dei fiori e della pelle che luccica e, da lontano, giunge la tua voce, inseparabile e perduta.

Maria Cristina Impagnatiello