Pisa, 31 gennaio 2014 - E' tutta colpa del suo carattere irruento, contenuto, dicono gli esperti, nel Dna che si porta dietro fin dalla nascita. Per questo improvvisamente cessa di avere quell'aspetto placido e mite che ogni giorno accompagna i pisani nelle loro attività e si trasforma in un mostro impetuoso e minaccioso che divide in due la città mettendo in pericolo monumenti e palazzi, oltre ai suoi abitanti. Come il dottor Jakyll e Mr Hide l'Arno è quell'amico-nemico da tenere sempre sotto controllo prima che possa dar sfogo alle sue intemperanze. Un bacino molto grande, troppo grande per il suo alveo e per la sua lunghezza, lo rende diverso dai grandi fiumi come il Tevere e il Po, che hanno reazioni molto più lente. Le acque di ottomila chilometri quadrati di territorio, quasi metà della Toscana, finiscono nel suo piccolo letto con una tale rapidità che un' ondata di grandi piogge lo trasforma facilmente in un torrente implacabile pronto a rovinare tutto quello che trova sul suo cammino, e anche più là.

I pisani lo sanno e per questo quando l'Arno si 'arrabbia' corrono sulle spallette a fotografare quella forza irruente e senza freni che incute timore, ma è anche uno spettacolo della natura. Come ieri mattina, quando la città si è svegliata di nuovo divisa in due, bloccata nella sua vita quotidiana, eppure stregata dalla rovinosa potenza del fiume. E certo non è stata la prima volta. Di piene memorabli e allagamenti sono rimaste tracce in numerosi studi e si è riusciti anche a contarle. Così ad esempio si sa che dal 1177 al 1761 le inondazioni dell'Arno furono 54, mentre dal 1764 al 1855 il fiume ruppe le sponde 14 volte. Alcuni allagamenti  più antichi sono documentati, come quello del tutto fuori stagione del 1547. Avvenne il 13 agosto, in un mese certo  poco incline alle piogge, ma a quanto si sa non fu terribile come quelli avvenuti del periodo più critico, compreso tra ottobre e marzo.

Delle inondazioni di Pisa ce ne parla Giuseppe Meucci nel libro 'Il giorno del diluvio', edito da Ets, ricordando in particolare l'alluvione del 4 novembre 1966, quando lui, giovane cronista de 'La Nazione', era sul Ponte di Mezzo mentre l'acqua invadeva la città, e il giorno successivo, grazie ad un camion americano partito da Camp Darby, riuscì a raggiungere fortunosamente Pontedera. Storia recente, di cui ancora la città ha memorie vive. "Si disse che quella sera l'Arno era arrivato a Pisa con le gambe molli, privo di forze dopo aver invaso Firenze e la pianura di Santa Croce e Castelfranco", scrive Meucci. "Ci si rallegrò per il fatto che la città questa volta era uscita più o meno indenne dal gran disastro toscano. Nessuno però aveva fatto i conti con l'enorme pressione esercitata per ore e ore sui ponti di Pisa e sui Lungarni, proprio là dove il fiume fa una dolce curva verso occidente e si avvia al mare". Fu infatti alle 7,30 di domenica 13 novembre che il ponte Solferino si spezzò in tre parti con un boato udito in tutta la città.

Un altro  ponte, quello 'a mare' se lo era già portato via l'alluvione del 1869: allora l'acqua  in piazza San Sepolcro e all'interno della chiesa arrivò a due metri di altezza e si contarono alcuni morti. Andò meglio nel 1919 perchè una rottura dell'argine a Zambra tra il 7 e l'8 gennaio consentì il defluire della piena in una zona di campagna, salvando Pisa. E come non ricordare l'inondazione  dei mesi successivi alla fine della guerra. Le spallette dell' Arno erano state distrutte dai bombardamenti, i ponti erano stati fatti saltare dai tedeschi in ritirata  fra luglio e agosto del 1944. Quando la stagione delle piogge arrivò trovò  una città martoriata e certamente non pronta a difendersi. L'acqua uscì da tutte le aperture sui lungarni e allagò l'intera Pisa invadendo per la prima e unica volta anche la piazza del Duomo, trasformata in un lago  in cui la Torre si rispecchiava.