Pisa, 25 giugno 2013 - RIECHEGGIA ancora, dopo quattro giorni, la storia di sangue e follia che ha scioccato Porta a Lucca e l’intera città. I segni dell’acido sul volto dell’informatico pisano aggredito venerdì mattina saranno cancellati dai chirurghi e le ferite alla schiena scavate dal coltello di Alberto Mennucci saranno guarite dal tempo. La memoria rimane però segnata da questa tragedia recente che amplifica turbamento e incredulità in chi aveva conosciuto {{WIKILINK}}Alberto Mennucci {{/WIKILINK}}oggi in carcere per tentato omicidio e si sovrascrive a un’altra tragedia. Ancora più profonda e che parla di abbandono, disagio, e violenze infantili. Nel profilo che gli investigatori hanno tracciato, il giovane pisano è ritratto come un tossicomane, incline alla violenza ingiustificata, con problemi psicologici e precedenti penali. La sua psiche instabile avrebbe potuto indurlo a compiere altre violenze scegliendo le vittime a caso. Di violenza e degrado sociale parla il suo appartamento, oggi sigillato dalla Polizia, al terzo piano di una palazzina in piazzale Amalfi.

I VICINI, attoniti, stentano a credere all’orrore filmato in quella casa sopra le loro teste. Tutti conoscono Alberto fin da quando era piccolo ed è questo a muovere i racconti degli amici d’infanzia che condannano il suo gesto ma si ribellano con chi vuole farlo passare per mostro. C’è una storia di disagio sociale profondo e inascoltato dietro quel volto pallido e patito che l’autolesionismo ha sfregiato con una cicatrice sulla fronte. C’è una storia di abbandono e solitudine, di violenze su violenze ereditate nei cromosomi e vissute fin dall’infanzia. Nel vicinato tutti ricordano la madre di Alberto Mennucci, Mariagrazia, costumista del Teatro Verdi morta alcuni anni fa, i cui attrezzi del mestiere (forbici, manichini etc) sono ancora suppellettile dell’appartamento di piazzale Amalfi. «La madre era alcolizzata — dice una vicina — e picchiava il figlio senza motivo anche quando era ancora un bimbo. Una volta i nostri figli giocavano insieme e lei disse ad Alberto di portarle un bicchiere di vino. Lui le disse di aspettare, e lei lo menò senza motivo con uno zoccolo di legno». «Il vero padre di Alberto — racconta un anziano nel giardino sotto casa —si impiccò quando lui era piccolo, e il secondo compagno della mamma è andato via lasciando una scia di infinite violenze». Il Mennucci, che un ex compagno di giochi ricorda come «un ragazzino uguale a tutti noi e geniale in matematica», aveva poi avuto una relazione con una maestra dalla quale ha avuto un figlio e che per due anni ha vissuto nell’appartamento di piazzale Amalfi. Due anni di strazio e impotenza per i vicini inermi di fronte alle grida e al fracasso che trasudavano da quelle pareti in tutto il condominio. Sangue e lividi sul viso della donna, incontrata per le scale, contrastavano con il padre affettuoso che ogni giorno «montava il bimbo sulla bici e lo portava a fare un giro».

DOPO che la donna lasciò Pisa, Mennucci piombò nel più degradante isolamento, al punto da muovere alla compassione i condomini. Alcuni di essi raccontano: «Gli avevano tagliato l’acqua perché non pagava le bollette. Alcuni di noi gli lasciavano i secchi pieni d’acqua fuori dalla porta, per bere e per lavarsi. Non voleva parlare con nessuno e che nessuno gli entrasse in casa». «Negli ultimi giorni gridava: prima o poi ti ammazzo — racconta un vicino —. E’ probabile che abbia avuto a che dire con qualcuno con cui spesso parlava al telefono e che abbia desiderato vendicarsi. Non riesco a credere che la vittima sia stato scelta a caso». «Usciva sempre incappucciato — dice poi una vicina —. In casa sibilava frasi senza senso. A volte mi faceva paura, ma con noi non è mai stato violento. Tutti sapevamo che era un caso sociale. Lo avevamo segnalato oltre un anno fa al sindaco. Ma nessuno è mai intervenuto per aiutarlo. Lo hanno abbandonato. Non c’è giustificazione ai suoi atti violenti. Certo però che se chi di dovere fosse intervenuto, questa tragedia si sarebbe potuta evitare».