Pisa, 9 luglio 2011 - LA PASSIONE per la pornografia su internet è costata carissima a un’infermiera ultracinquantenne originaria di un paese dell’entroterra pisano impiegata nell’Azienda ospedaliera universitaria. Per l’esattezza le è costata 13mila euro e spiccioli, la cifra che dovrà versare come risarcimento per il tempo trascorso tra chat e siti dedicati al sesso virtuale durante l’orario di lavoro. A cui vanno aggiunte le spese legali. Tutto è cominciato nel 2003 quando l’infermiera denunciò per molestie sessuali sul lavoro un collega. Un’ingenuità visti gli scheletri nell’armadio, o meglio nel computer, che nascondeva lei stessa. E così inevitabilmente è scattata un’indagine interna all’ospedale, che si è chiusa con l’archiviazione per quanto riguardava le molestie sessuali, ma che ha dato il via a un’ulteriore procedimento a carico proprio dell’infermiera, che tra un paziente e un altro si dilettava tra internet e telefono, con la connessione dell’ospedale, visitando siti porno e chattando con focosi partner con tanto di prestazioni diffuse via web cam. Non appena scoperta per la donna è arrivata la sospensione dal lavoro. L’infermiera però non ci sta e insieme al marito presenta ricorso, poi respinto, chiedendo 250mila euro di risarcimento per comportamento vessatorio nei suoi confronti. Nel frattempo la curiosa vicenda sale inevitabilmente agli onori delle cronache, spingendo l’Aoup a chiedere all’infermiera anche il risarcimento per il danno all’immagine che ne sarebbe scaturito. La battaglia legale prosegue ma i dettagli che emergono sono tutti contro l’infermiera dalla doppia vita. Un esperto informatico infatti conferma il collegamento ai siti pornografici dai computer aziendali durante i turni notturni con account che non lasciano adito a dubbi sull’identità della protagonista. Un’altra ingenuità: nei nickname per intrattatenere i suoi fan nelle porno chat la donna usava il suo nome e si registrava lasciando dati e indirizzo. Un errore da non fare nell’epoca del grande fratello virtuale.
 

 

IL RISARCIMENTO calcolato inizialmente e richiesto alla donna dall’ospedale era di 22mila euro e comprendeva il denaro speso dell’Azienda ospedaliera per indagare sulla questione, lo stipendio preso dalla donna per curare e seguire i pazienti in corsia mentre invece spariva nella stanzetta per collegarsi ad internet e il costo della connessione. E’ stato addirittura calcolato il tempo che l’infermiera avrebbe passato ogni notte dedita al suo hobby: almeno tre ore per ogni turno di notte. Nel risarcimento era anche compreso il danno d’immagine arrecato all’azienda ospedaliera, quantificato in diecimila euro, dopo che la notizia delle prestazioni hard, seppur virtuali, dell’infermiera è stata diffusa dagli organi di informazione. La procura della Corte dei Conti di Firenze ha però ritenuto che non ci fosse in questo caso alcuna ipotesi di illecito penale motivo per cui il danno all’immagine non prevede alcuna condanna risarcitoria. Cifra quindi scontata di circa 10mila euro che si attesta intorno ai 13mila più spese legali. 

 

LA DONNA dal canto suo si è difesa negando innanzitutto l’uso del computer ma anche sostendendo che il suo comportamento non avrebbe in alcun modo messo a rischio la salute dei pazienti ricoverati, né pregiudicato la sua capacità d’intervento. Della serie, anche se ero davanti a web cam e computer potevo rispondere alle chiamate dei pazienti. Affermazione che i magistrati hanno valutato come un’implicita ammissione.