Pisa, 30 dicembre 2010 - C’è un pezzo di Pisa nel cuore dell’Africa. Otto ettari e mezzo di terreno in territorio Masai. A 50 km da Nairobi e dall’immensa baraccopoli di Kibera, dove tutto è iniziato. Era il 1976 quando Maria Rita Tarquini — anima instancabile del Sucos, l’ong nata in seno alla parrocchia del Sacro Cuore — partiva per la prima volta come volontaria per l’Africa. Trentacinque anni di attività (di cui otto vissuti dentro la bidonville, unica donna bianca tra i poveri di Nairobi) che hanno permesso di costruire, mattone su mattone, un’oasi autosufficiente. Un villaggio, 1.200 mq di campi coltivati a mais e fagioli per ogni famiglia, una scuola materna frequentata da 60 bambini, un centro di formazione e un piccolo ospedale con un attrezzato reparto maternità e una sala operatoria. Un dispensario gestito da uno staff completamente africano nato tre anni fa e battezzato con il nome della dottoressa Manuela Roncella, direttrice dell’unità operativa di Senologia dell’Aoup.

 

Un nome scelto proprio dalle 40 famiglie che popolano il villaggio di Isinya e che provengono dall’inferno di Kibera. Un gesto simbolico per rendere omaggio al medico che ha 'salvato' Maria Rita Tarquini dalla malattia scoperta pochi anni fa. Un intervento perfettamente riuscito che aveva fatto preoccupare a tal punto le donne del villaggio e tutta la famiglia africana, da far loro decidere di dedicare l’ospedale proprio alla dottoressa Roncella alla quale è poi spettato il compito di tagliare il nastro della nuova struttura. Al centro di tutto, sempre lei: Maria Rita Tarquini, ex insegnante elementare, sorella di padre Venturino alla guida per molti anni della parrocchia del Sacro Cuore. Una vita scandita dai viaggi — "Adesso vado in Africa ogni tre mesi" — e una casa rosa uguale in tutto e per tutto a quella delle altre famiglie dove vivere durante i soggiorni.

 

"Il terreno — racconta Maria Rita che tornerà a Isinya a febbraio — per ora è di proprietà di Sucos Kenia. Ma tra qualche anno, con un atto notarile, passerà alle famiglie. Il percorso verso la completa autosufficienza è infatti a buon punto. Gli abitanti del villaggio — spiega Maria Rita — hanno per esempio un conto corrente ‘di salvataggio’ sul quale versare ogni mese piccole somme per le emergenza: 100 scellini di affitto per casa, pari circa a un euro, e poco di più per l’acqua. Al resto pensa, almeno per ora, il Sucos attraverso cene di autofinanziamento e adozioni a distanza". Il 'costo' più consistente è in questo momento quello per il funzionamento della scuola: 60 bambini ai quali, con 60 euro l’anno ciascuno, viene garantita la possibilità di andare a lezione, un pasto al giorno, un frutto e un bicchiere di porridge al mattino.

 

E se questi saranno gli adulti di domani, grazie al Sucos hanno ricevuto una formazione un falegname, una cuoca, tre maestre, un buon numero di operatori sanitari. Compreso un agronomo — David — che si è diplomato da pochi giorni e che nel villaggio avrà d’ora in poi un compito importante: coltivare anche quei campi che ancora non producono a dovere. Per dare a tutte le famiglie quel che serve per vivere e mantenersi con il proprio lavoro. Un altro passo verso l’autosufficienza.