Piccole storie da tramandare

Il responsabile della redazione di Pisa, Tommaso Strambi

Il responsabile della redazione di Pisa, Tommaso Strambi

Pisa, 30 agosto 2015 - Ermenegilda, Iolanda, Elena, Nerina, Ruffo, Eda, Eva, Anna e Lina. Scappavano dalle bombe e dall’atrocità della guerra. Non avevano commesso reati, speravano solo di salvarsi. Per questo ripararono a San Rossore: nascondendosi nella pineta contavano di uscire indenni dai bombardamenti. Ma non avevano fatto i conti con i rastrellamenti dei soldati tedeschi: le scovarono dopo che avevano cercato rifugio sotto a delle cataste di legname. Per loro, il 9 agosto 1944, non ci fu alcuna pietà. Morirono sotto una sventagliata di mitra. Secondo alcune testimonianze Ermenegilda cercò di fare scudo con il proprio corpo alla figlia. Invano. Perché nessuno delle famiglie Scudeller, Davini, e Bucciarelli si salvò dalla strage dell’idrovora. Francesco e Walfredo, invece, cercavano del cibo vicino al cascinale di un contadino di San Piero a Grado quando furono bloccati. Anche per loro non ci fu scampo. Morirono, il 24 luglio del ’44, sotto i colpi dei militari tedeschi. Walfredo Zanuccoli era maresciallo dei carabinieri in servizio alla Stazione di Porta a Mare. Dopo l’8 settembre del 1943, come molti altri commilitoni dell’Arma, aveva compiuto la propria scelta per la libertà. Una scelta attiva come quella di Agostino Bragazzi che, anche lui carabiniere, dopo essere fuggito da Trieste aveva cercato rifugio da alcuni parenti a San Rossore. Qui, secondo le accuse, aveva sabotato le linee telefoniche tedesche. Per questo fu trucidato all’interno della Tenuta il 13 giugno del 1944. Un tributo di sangue molto più lungo: a Pisa, come in tutto il resto del paese, furono molti coloro che persero la vita tra il 1943 e il 1945. Bambini, donne, uomini, partigiani, sacerdoti, carabinieri. Di alcuni si ricordano i nomi, di altri il tempo ha quasi cancellato la memoria. Per questo, alla vigilia del 72° anniversario del bombardamento che sconvolse la nostra città, siamo andati a ricercare queste tre storie. Meno note rispetto alla strage de La Romagna o della canonica di San Biagio, ma ugualmemente da ricordare. Storie intime, familiari, di eroismo e non, che hanno contribuito a scrivere la grande storia del nostro Paese. Quello stesso Paese al quale pensava il capitano Franco Balbis che, poco prima di essere trucidato il 5 aprile del 1944, come ci ricorda Aldo Cazzullo nel suo libro «Possa il mio sangue servire», scriveva appunto «possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e per riportare la nostra terra a essere onorata e stimata nel mondo intero». Ne abbiamo davvero bisogno. Buona domenica.