Biblioteca, il prefetto convoca enti e istituzioni

Nei prossimi giorni un tavolo per trovare la soluzione. Interviene il professor Feo: «Basta litigi, i libri sono un bene di tutti. Evitare il disastro»

Il Palazzo della Sapienza circondato dalle impalcature per i lavori di ristrutturazione (Foto Valtriani)

Il Palazzo della Sapienza circondato dalle impalcature per i lavori di ristrutturazione (Foto Valtriani)

PISA, 13 luglio 2016 - Continua il dibattito intorno al caso della biblioteca custodita all’interno del palazzo della Sapienza. Il Ministero dei Beni Culturali, proprietaio dei 500mila volumi, sta valutanto l’opportunità di far uscire tutti i libri, o una parte, almeno fino a quando non saranno completati i lavori di ristrutturazione del palazzo, lavori che a breve coinvogleranno anche gli ambienti della biblioteca. Qui infatti è previsto il completo rifacimento di impianto idraulico ed elettrico e dei servizi igienici conuno stanziamento di 1,7 milioni deliberato dal Ministero dei Beni Culturali.

Sul problema il prefetto Attilio Visconti convocherà nei prossimi giorni un tavolo tra enti e istituzioni coinvolte anche per valutare le ipotesi di fattibilità circa il possibile utilizzo dell’ex palazzo Telecom, proprietà del Comune e attualmente in vendita, per ospitare i libri o parte di essi durante la fase dell’emergenza e, nel futuro, come possibile magazzino della biblioteca.

Intanto La Nazione ha ricevuto l’intervento del professor Michele Feo, già ordinario filogia medievale e umanistica, prima nella Scuola Normale Superiore, poi nell’Università di Pisa, infine nell’Università di Firenze.

«Non interesserà nessuno, ma da ieri ho il mal di stomaco. Quello che si temeva e non si voleva pensare è accaduto. La Biblioteca Universitaria di Pisa uscirà dalla Sapienza. Come, secondo Sartre, si poteva uscire dal Partito Comunista: coi piedi in avanti, in una cassa da morto, senza ritorno. Quello che non fecero i bombardamenti del 1944 ha fatto in tempo di pace una trimurti di interessi edilizi, di cannibalismo accademico e di insipienze istituzionali. Padre, non li perdonare, perché a chi sa quel che fa non si deve perdonare. Qualsiasi paese, civile o incivile, sarebbe orgoglioso di possedere ricchezze tanto più preziose quanto più inutili: inutili per i giochi fatui della politica del puro potere, inutili per le esibizioni effimere del vivere giorno per giorno, inutili per l’abbuffata quotidiana di niente e così sia.

Il momento più alto della civiltà italiana e della sua espansione europea è stato quello dell’età rinascimentale, allorché ogni piccola città cercava un umanista di valore per educare i propri figli, ogni comunità conservava gelosamente i suoi codici e si sentiva grande perché aveva importato un libro raro dalla Grecia o aveva liberato un antico autore latino dalle prigioni dei monasteri tedeschi. Grazie a quella immensa e meravigliosa generazione di libri è nata la scienza moderna, che ci fa stare più comodi, è nata la poesia moderna, che dà un senso alle nostre anime vaganti, è nata la libertà di pensiero e di religione, che da fauni ci ha trasformati in uomini e forse ci trasformerà in creaure angeliche, è nato un nuovo senso dell’amore e della vita associata, che ci vorrebbe più caritativi e meno bellicosi. Chi disprezza tutto questo come roba da vecchi lagnosi e nostalgici sputa sul piatto che lo ha nutrito e insulta chi gli ha dato la vita.

 

Pisa non può dare ai suoi giovani questo orrendo segnale di disprezzo per la sua cultura, per le sue radici, che è come dire per il suo futuro. Abbiamo protestato tanto. Ma oggi io mi umilio ad implorare chi ha in mano le sorti della Biblioteca Universitaria. Non portate a compimento qualcosa di cui potreste domani vergognarvi e che certamente non vi assicurerebbe onore e buona fama. Come si fa a deportare da un giorno all’altro 400mila, forse 600mila volumi, di cui migliaia sono delicatissimi e unici cimeli? E come si fa a trovare loro la casa decente che non si è trovata in decenni di dibattiti e nei quattro anni di polemiche da quel 29 maggio 2012? Parlate col direttore del Kunsthistorisches Institut di Firenze; fatevi spiegare come ha fatto a restaurare un’intera biblioteca senza mai chiudere i battenti e senza mai escludere i lettori, solo spostando blocchi di libri con perizia e attenzione da un locale all’altro.

Si è detto e ridetto che per la Biblioteca Universitaria non c’è posto in Sapienza. Si è detto il falso.

Sono stato solo a sostenere in un dettagliato e lungo articolo sul «Ponte» di Firenze del 2014, che tutta la Sapienza andava destinata alla Biblioteca Universitaria e, in caso di sufficienza di spazi, anche ad altre biblioteche pisane in pericolo, affinché la Biblioteca Universitaria potesse crescere come albero rigoglioso in un giardino arioso e potesse tornare a rappresentare simbolicamente il centro del pensiero collettivo della città. Nessuno mi ha seguito. Solo qualche giorno fa l’on. Carrozza ha dichiarato candidamente che per la Biblioteca Universitaria posto ci sarebbe, e come!, basta mandar via quella di Giurisprudenza. Io ripeto che non occorre cacciar via nessun libro dalla Sapienza e che c’è posto per tutti. Non ci deve invece esser posto per i nuovi lussuosi studi (si dice 34) e le nuove inutili aule a maggior gloria di alcuni docenti. I docenti passano come ombra e vanità nella loro sublime inconsistenza lodata dalla Moria erasmiana. Il sapere affidato ai libri resta ed è su quella roccia che ci siamo formati noi alla bell’e meglio e si spera si formino i nostri figli.

È incredibile che per quattro anni ci siamo accapigliati su chi deve fare e chi è padrone, su chi ha competenze, su chi deve mettere i soldi e chi deve piazzare il proprio didietro sugli scranni. Abbiamo perso il senso del bene pubblico, che è come dire di noi stessi come animali sociali, e ci siamo distratti in scaramucce indecorose fra i vari organi dello Stato. La Sapienza e i suoi libri non sono né del MIBACT né del Rettore, non competono né al Sindaco né ai volontari degli immondezzai, anche se alla tutela di questo o di quello sono temporaneamente affidati. Sono beni di tutti e sono stati traditi da chi doveva custodirli. Ma siamo ancora in tempo per evitare il disastro.