{{IMG_SX}}Perugia, 19 gennaio 2009 - "Chiamate a testimoniare Andrew, lui vi dirà chi sono, come pure il giudice Heavy". In aiuto di Amanda Knox arrivano dagli Stati Uniti amici e vicini di casa. Lei, l’enigmatica studentessa venuta da Seattle che davanti alla Corte d’assise di Perugia (dove è cominciato il processo per l’omicidio di Meredith Kercher) appare con un sorriso smagliante, sembra non aver nulla da temere.

 

Tanto allegra da non sembrare imputata. Vuole gli americani a difenderla, vuole i parenti. E per questo cita anche una zia che vive in Germania - Dorothy Najr Craft - alla quale telefonò la mattina del 2 novembre. Il giorno dopo il delitto di Mez. Tanto è disinvolta lei, pronta anche a rispondere all’interrogatorio in aula (sono i suoi avvocati a chiederlo), tanto affranto il suo ex, Raffaele Sollecito. E’ quasi disperato. Durante l’udienza ai legali confessa: "Ho un peso sullo stomaco, non riesco a mangiare".

 

E’ teso, scambia qualche parola ma non ha voglia di scherzare come Amanda. Il conto alla rovescia verso la sentenza che potrebbe condannarli all’ergastolo è cominciato e il biondino pugliese si vede che ha paura. Nessuno ha chiesto il suo esame in aula. "Parlerà" dicono i difensori, Giulia Bongiorno, Luca Maori e Marco Brusco. Ma con dichiarazioni spontanee che non ammettono repliche o domande. E così non potrà contraddirsi con Amanda.

 

Nell’integrazione dei testimoni gli avvocati della studentessa americana a Luciano Ghirga e Carlo Dalla Vedova hanno inserito i nominativi di Andrew Sieber, "il mio migliore amico" lo definisce in 'My prison' e di Michael J. Heavy. Il primo dovrà riferire sulla "personalità fantasiosa ed estroversa" dell’imputata, e sulla "sua abilità di scrittrice". "Andrew è il mio amico del cuore, è un musicista piccolo ma con una grande personalità - scrive Amanda -. Parliamo sul tutto e anche lui è il mio socio officiale quando scaliamo le rocce della palestra".

 

Heavy invece è quel giudice che nei mesi scorsi aveva firmato ‘l’atto di innocenza’ della studentessa. Scrivendo al pm Giuliano Mignini e pure al Consiglio superiore della magistratura che "Amanda non può essere un’assassina, non può essere vero... ha una personalità fuori dal comune. Rasenta, nel suo manifestarsi con gli altri, un candore, un’onestà e una schiettezza inusitati". E’ un suo vicino di casa, la conosce da quando è piccola. La figlia è un’amica della giovane, enigmatica ragazza americana.

 

L’innocenza di Amanda, per i legali, è anche nei memoriali. Tanto che chiedono l’acquisizione dello scritto del 7 novembre e la testimonianza dell’ispettore superiore Raffaele Argirò della polizia penitenziaria con il quale la detenuta deve aver parlato. Lì dentro c’è un’altra verità, rispetto a quella del 6 novembre, scritta in due paginette consegnate ad una poliziotta. Raffaele invece ha chiamato a testimoniare in aula anche anche alcuni amici dalla sua terra natale.

 

Da Giovinazzo infatti spera possano arrivare parole convicenti, che lo facciano emergere come un ragazzo ‘normale’. Ma soprattutto vuole chiarire gli ultimi aspetti della sua vita evidenziati dalle indagini supplementari della procura. Due testimoni riferiranno quindi sul sequestro di qualche tempo prima di pochi grammi di cannabis.