Montecatini, 24 novembre 2011 - Un visionario. Non solo artista. Più che artigiano sopraffino. Forse poeta, cantore del bronzo, materiale che fondeva e modellava con pazienza maniacale, devoto all’unica e mistica missione: la ricerca del suono perduto, la genesi della timbrica perfetta. Roberto Spizzichino nel mondo della musica jazz e classica, era venerato come l’unico ‘master cymbalist’. Romano, 67 anni, il maestro dei piatti della batteria è morto lunedì sera a Pescia, dove viveva dal ’91 con moglie australiana e due figli, in una casa popolare. Come i veri geni, non dava importanza ai soldi. «Se il committente gli stava simpatico — racconta l’amico artigiano Mauro Agostini — spesso gli regalava per pochi spiccioli la sua opera, creazione unica da migliaia di euro».

Porta con sè un segreto di manualità e passione che non troverà degni epigoni. In gioventù aveva suonato la batteria con grandi del jazz come Dexter Gordon a Buck Clayton (già nell’orchestra di Count Basie), fino a diventare spalla fissa di Romano Mussolini e senza disdegnare incursioni nel blues-rock nostrano di Pino Daniele.  La leggenda narra che alla fine degli anni ’70 arrivò fino a Istanbul per acquistare altri piatti fatti a mano della favolosa serie K del marchio turco Zildjian, ma nell’antica Costantinopoli (che esportava prodotti musicali in bronzo in Occidente fin dal ’700, anche nel Granducato di Toscana) trovò la fabbrica chiusa.

Orgoglioso e irriducibile, Spizzichino non si arrese: voleva riprodurre per l’eternità il suono eccezionale di quei cembali turchi che anche lui aveva percosso, e abbandonati concerti e sale d’incisione si mise a produrre piatti per batteria.

Cercando senza requie e incontentabile, Cagliostro delle sette note, la formula alchemica di bronzo, rame e stagno capace di rendere agli uomini quei suoni tintinnanti e oscuri che rischiavano di rimanere ricordi. In anni furiosi di tentativi, si specializzò fino al punto di diventare il cembalista più apprezzato dai batteristi jazz del globo. Negli ultimi anni tra i suoi clienti e ammiratori annoverava strumentisti di grandi orchestre sinfoniche americane e canadesi. Divenne celebre per il logo «Spizz», i suoi prodotti poi portarono la firma «R. Spizzichino».

A Pistoia — «una testa matta, unico» — lo ricorda con affetto Luigi Tronci, presidente della Ufip, storica fabbrica di strumenti musicali con cui Spizzichino collaborò per quattro anni prima di fondare una sua sfortunata fabbrichetta. Piangono la morte di «Spizz» il celebre jazzista Roberto Gatto e Zeno De Rossi, apprezzato batterista di Vinicio Capossela ed Enrico Rava.

Mauro Agostini, presidente della Antichi Mestieri di San Quirico a Pescia, ditta tra le pochissime che fabbrica teglie in rame per la produzione di cecina: «I piatti — racconta appena rientrato dal funerale alla cappellina dell’ospedale di Pescia — li amava come figli, più di un amante la fidanzata. Nemico della mediocrità, solitario, perfezionista, li lavorava e rilavorava, li conosceva uno ad uno, li carezzava delicatamente, cesellava di martello, incudine e torniaccio per arrivare alla tonalità inimitabile, diversa da qualsiasi altra.

Si emoziona Mauro Agostini, presidente della Antichi Mestieri di San Quirico a Pescia, ditta tra le pochissime che fabbrica teglie in rame per la produzione di cecina: «I piatti — racconta appena rientrato dal funerale alla cappellina dell’ospedale di Pescia — li amava come figli, più di un amante la fidanzata. Nemico della mediocrità, solitario, perfezionista, li lavorava e rilavorava, li conosceva uno ad uno, li carezzava delicatamente, cesellava di martello, incudine e torniaccio per arrivare alla tonalità inimitabile, diversa da qualsiasi altra. Si chiudeva in officina alle 17 quando chiudevamo, e lavorava fino a notte fonda.

Instancabile, magro, febbrile. Per produrre il piatto che aveva in mente, poteva buttarne via una ventina di imperfetti. Alla fine un capolavoro, ma lui non se ne vantava e si rigettava a capofitto a studiare nuove leghe di bronzo, a comporre poemi di suoni e metallo».