Processo Untouchables, difese all'attacco sui presunti appalti truccati

"Non c'è stata nessuna corruzione"

Giordano Rosi con l'avvocato Andrea Niccolai

Giordano Rosi con l'avvocato Andrea Niccolai

Pistoia, 3 dicembre 2016 - Gli affondi delle difese al vigoroso impianto accusatorio nel processo per i presunti appalti truccati, dove il pubblico ministero Francesco Sottosanti ha chiesto la condanna di tutti i sedici imputati per un totale di novantadue anni di carcere, sono cominciati. Per l’accusa c’è una mole di prove. Per la difesa, nemmeno gli indizi. Un accento, questo, posto in particolare dall’avvocato Andrea Niccolai, difensore di uno dei principali imputati, l’imprenditore pesciatino Giordano Rosi. Lunghissima, ieri, l’arringa del penalista, presidente della Camera Penale di Pistoia, che prima di esaminare, gara per gara, tutti gli episodi contestati al suo assistito, ha tracciato un ampio prologo con il quale ha focalizzato il nucleo della sua difesa, a partire – qui sintetizziamo – dalla diffusione della notizia degli arresti, dell’indagine, dell’ordinanza, che ha danneggiato gli imputati e determinato il clima del processo e dove: «Un’assoluzione non sarebbe accettata di fronte a una richiesta di una sentenza esemplare, e non una sentenza giusta».

«Il pm – ha detto l’avvocato Niccolai – ha fatto un grande lavoro, è stato un terribile contraddittore. Ma non sono condivisibili le misure cautelari ed è stata terribile la richiesta di aggravamento perchè gli imputati avrebbero conversato durante l’incidente probatorio, alla presenza (perchè?) della Digos. «Vi è stato – ha sottolineato ancora il difensore – un uso massiccio delle intercettazioni. Nè era condivisibile l’immediato cautelare, poichè c’era bisogno ancora di tanti accertamenti. Vi è stata una compressione del diritto di difesa». Poi Niccolai si è scagliato sulle modalità con cui la prova è stata portata nel processo: «Le accuse di corruzione – ha tuonato – sono prive di riscontro oggettivo, fatti che non sono nemmeno indizi, che sono slegati fra loro in uno stampellarsi reciproco, una mancanza di individualizzazione del reato sui singoli imputati, un magma di ipotesi investigative e a voi – rivolto ai giudici – il compito di trovare gli indizi. Ma se devo corrompere ci metto tre volte lo zelo, sottolineo la forma. Non sembri sospetto al tribunale che queste imprese discutano tra loro sui lavori da eseguire, è normale che imprenditori che si conoscono da una vita si trovino, si scambino le informazioni».

Per l'accusa Roberto Riccomi è stato il grande orchestratore del balletto degli appalti pubblici, colui che teneva le fila di quella che, per il pm, è l’associazione a delinquere per pilotare le gare a suon di mazzette, per la difesa l'esponente socialista, è soltanto un «grande vecchio». Riccomi, in questo processo, è difeso dagli avvocati Gianluca Lomi e Francesco Bevacqua, figlio di Rosario, recentemente scomparso.«L’attività di Riccomi – ci ha spiegato l’avvocato Bevacqua riassumendo brevemente la sua arringa – non è mai stata funzionale a una ipotetica associazione finalizzata a turbare e a corrompere. Lui ha soltanto svolto attività politica. Ho sostenuto che esiste inconciliabilità tra l’ipotesi dell’associazione e la corruzione sistemica. E se le corruzioni erano precedenti all’associazione, se il patto corruttivo precede, visto che vi sono gare del 2007 che si ritengono già alterate, perchè allora fare un’associazione per corrompere? Riccomi è un politico che ha grandissime relazioni. Una persona con mille interessi e un attivismo quasi febbrile...da questo a dire che lui è il capo dell’associazione...e con quale interesse? Qui esistono rapporti pluriennali – osserva infine Bevacqua – e Rosi è come Agnelli a Torino».