Gli anni di piombo raccontati da Riccardi

Il carabiniere-scrittore ha presentato il suo libro a "Food & book"

Roberto Riccardi intervistato da Gianni Zagato

Roberto Riccardi intervistato da Gianni Zagato

Montecatini Terme, 17 ottobre 2017 - «Credo che per contrastare il crimine, oltre al piano preventivo e repressivo, sia necessario un forte contributo educativo, culturale, di trasmissione di valori. E questo si porta avanti anche con la scrittura. Solo in questo senso, considero la scrittura una prosecuzione della mia attività professionale». Così Roberto Riccardi, ufficiale dei carabinieri e autore di noir di grande successo, spiega il suo avvicinarsi alla scrittura. Riccardi, che è stato a Montecatini Terme a presentare il suo ultimo libro: «La notte della rabbia», nell'ambito di Food & Book, continua: «Si deve realizzare un salto di natura culturale ed un libro serve a far riflettere, ad interrogarsi. Mi piace raccontare storie e portarle dove c'è aggregazione sociale, in luoghi come le scuole. Nei miei libri – ricorda – i criminali sono sempre «spiegati»: uso questo termine per chiarire che non è mai giustificato ciò che hanno fatto, ma è sempre analizzata l'evoluzione interiore di chi è arrivato a delinquere. Questo per comprendere le radici di una condotta, proprio al fine di contrastare il crimine». Roberto Riccardi ha presentato il libro al Tettuccio, anche attraverso le domande di Gianni Zagato, che hanno scandagliato l'elemento della memoria individuale e collettiva, il periodo in cui è ambientato il libro, ovvero nello scenario del terrorismo endogeno degli Anni di piombo.

«Il mio romanzo – ha ricordato Riccardi – ci riporta indietro di circa quarant'anni, quando il Paese ed il mondo erano divisi in due. La vicenda inizia con un sequestro che ricorda quello di Aldo Moro. C'è un carabiniere di scorta, che viene ucciso. Viene sequestrato un personaggio vicino al mondo politico, forse candidato a diventare di lì a poco ministro dell'Interno. C'è un gruppo terroristico che lo ha rapito, che nella finzione letteraria ho chiamato Sap, c'è un reparto antieversione dei carabinieri e c'è una figura particolare, il protagonista investigatore, il colonnello Leone Ascoli, sopravvissuto ad Auschwitz, che dedica tutto se stesso alla professione e a questa indagine». L'intreccio complesso si lega a vari scenari investigativi, mentre si approfondisce sempre di più l'analisi psicologica dei personaggi. «Mi piace anche aver raccontato – continua Riccardi – il prigioniero ed il rapporto con i suoi carcerieri. Ero ragazzino quando hanno rapito Moro, ma dopo ho pensato tanto a cosa può essere avvenuto in quei 55 giorni, in un covo, a Roma, in via Montalcini, dove c'erano dei carcerieri che avevano immaginato in modo diverso l'onorevole Moro e che si sono trovati davanti un essere umano, che, probabilmente, durante la prigionia, non pensava ai grandi scenari politici, ma alla moglie ed ai figli che rischiava di non vedere più e che in effetti non ha più rivisto. Alle mie presentazioni a Roma ho invitato i figli delle vittime. Il romanzo è stato scritto un po' anche per loro. Qualcuno non ha mai conosciuto quella stagione, che è il passato prossimo del nostro Paese. Qualcuno ancora soffre molto per quel dolore che lo accompagnerà per sempre».