Monsummano 9 febbraio 2014 - «Mi sembra d'esser democristiani in Italia da quanto siamo vecchi. Alla satira serve prima di tutto partire dall'indignazione». Ed ecco qua servito l'ingrediente, forse non segreto ma sicuramente principale, del vignettista Vauro Senesi. A dirlo è stato proprio lui ieri pomeriggio a Monsummano dove ha ritirato il premio «Giuseppe Giusti» alla satira, e sfornando sorrisi in agrodolce ma dal sapore tutto pistoiese.

E se proprio il Giusti nei suoi versi, ricordati sul palco da Giuseppe Amoriello dell'associazione Amici di Casa Giusti, parlava di “mesto riso” Vauro non ha certo tradito la nostrana tradizione all'espressione pungente e talvolta sanamente un po' cinica del guardare oltre quello che semplicemente vediamo e scorgere altro con occhio forse anche un po' mascalzone, ma senza mai cadere in ridondanze autoreferenziali di discutibile gusto, dimostrando così quella semplicità destinata solo ai personaggi di grande vero spessore.

Ma cosa significa essere Vauro? «Mammamia – ha risposto sorpreso e scherzoso l'artista – sono cinquantotto anni che ci vivo insieme e devo dire che è diventato un rapporto piuttosto noioso. Non so cosa voglia dire essere Vauro, credo che significhi essere una persona di 58 anni, con una ex moglie, con una nuova moglie, con i figli, una casa, il mutuo...»

Cos'è la satira per Vauro? «Bella domanda, io la satira la faccio, difficile dunque dire per me cosa sia».

E secondo lei come sta la satira oggi, è ancora in salute? «Facendo gli scongiuri mi sento ancora bene! A parte gli scherzi credo che se si ritiene la satira come il termometro dello stato di salute di un Paese allora qui si segna già da tempo un livello rosso pericolo. Forse per ora il pericolo serio lo vive più il Paese stesso che la satira in sè che ha ancora degli spazi».

Allora cosa direbbe ad un politico oggi? «Assolutamente nulla. Non avrei nulla da dire ad un politico oggi».

E ad un giornalista che si occupa di cronaca politica? «Ancora meno! Anche perchè spesso tra politici e giornalisti che si occupano di politica si tende a confondere i ruoli».

Ma da cosa nasce la satira per lei? «Innegabile che l'indignazione nella satira serve. Cerco di tenere la mente sempre libera da pregiudizi, anche da quelli che in fondo mi piacciono. Poi c'è l'adrenalina, quella paura che non ti venga più in mente niente da proporre. Mi sento demcristiano da quanto siamo vecchi, Ci sono tanti giovani che disegnano benissimo ed hanno grande talento ma che questo paese non alleva, anzi, spesso caccia».

Ma questa ventiduesima edizione del premio Giusti alla satira, organizzato dalla locale sezione dell'Avis e , è stata resa particolare dalla sua natura pistoiese. Unica donna ad essere premiata infatti è stata Daniela Belliti con l'opera “Io che sono uno solo”, mentre gli altri premio sono andati a Matteo Nucci per la sua opera “Le lacrime degli eroi” edito da Einaudi e Oscar Schiavone con il suo “Michelangelo Buonarroti” edito da Polistampa. Tra i concorrenti, una particolare menzione è andata invece a “Il costo della vita, storia di una tragedia operaia” di Angelo Ferracuti, Edizioni Einaudi “Il papa nero” di Michele Gambino, Edizioni Manni, “Il secondo bene” di Flavio Ermini, Edizioni Moretti e Vitali Editori s.r.l.,“Tecnologia e l'intimità” di Alessandro Tomasi, Edizioni ETS, “Yohani Sànchez. In attesa della primavera” di Giordano Lupi, Edizioni Anordest e “Una noia mortale” di Beatrice Laghezza, Felici Editore. Tutte le opere segnalate sono depositate, per la consultazione del pubblico, in una speciale sezione della biblioteca comunale Giuseppe Giusti a Monsummano.

Arianna Fisicaro