I ‘Millennials’: se il lavoro è creatività

Il commento

David Bruschi, caposervizio della redazione di Prato

David Bruschi, caposervizio della redazione di Prato

Firenze, 29 novembre 2015 - Sono pragmatici, hanno meno sogni di una volta, sono disposti ad accettare impieghi non in linea con il loro percorso di studi perché sanno che le ambizioni devono fare i conti con la realtà, non con i desideri. Accettano anche lavori manuali e se un po’ provi a stuzzicarli ammettono che questo Paese li ha profondamente delusi, che andarsene dall’Italia potrebbe tentarli.

Non lo dicono con snobberia, ma con un filo di tristezza. Sanno anche reinventarsi, improvvisare, azzardare. Maneggiano una laurea ma non hanno paura a fare dell’altro, di tutto. Sì, questi ragazzi sono migliori dei loro padri: hanno imparato ad accantonare i discorsi fumosi e badano al sodo.

Li chiamano Millennials, oppure quelli della Generazione Y, nati fra la fine degli anni Ottanta e il Duemila. Tanti li guardano con commiserazione ("che ne sarà del loro futuro?") ma sbagliano di grosso. Questi ragazzi non hanno certezze e proprio per questo faranno presto grandi cose: abituati a confrontarsi con la realtà, manderanno in pensione la Sindrome di Peter Pan, nata come categoria del pensiero per aiutarci a incasellare i figli dell’età del boom, che non hanno mai saputo diventare adulti.

Quindi anche i loro padri, che quando avevano più o meno l’età di questi figli osservavano un orizzonte più chiaro, con più certezze e meno dubbi, ma che non hanno poi prodotto granché, tranne bei discorsi a profusione. Basta guardare in che situazione li hanno lasciati. Meno discorsi e più concretezza: i Millennials l’hanno imparato sulla loro pelle guardando gli errori di una generazione spesso inconcludente. E ora non possono che fare meglio.