Carrara, 8 settembre 2012 - IL BIANCO del marmo si tinge nuovamente, tristemente di rosso. Un nuovo incidente sul lavoro ha strappato all’affetto dei suoi cari Lucio Cappè, 47enne residente a Bonascola con la moglia Isabella. Nella cava 103 del bacino di Calocara, alle 9,23, nel cantiere di Gino Mazzi, titolare della Furrer, azienda che non ha mai registrato incidente alcuno, un blocco si è staccato dal monte, franando sul cavatore che stava lavorando al suo fianco. Con un collega, Cappè era intento alle operazioni di taglio di una bancata di oltre tre metri: qualcosa ha ceduto, il collega si è accorto in anticipo dell’imminente tragedia, riuscendo a scappare, mentre per Cappè non c’e stato nulla da fare.
 

DOPO un periodo di tempo in cui sembrava che la città avesse preso le misure su come prevenire queste tragedie, ieri mattina il corpo esanime di Cappè ha riportato indietro le lancette del tempo.
 

ANCORA da chiarire la dinamica della triste vicenda: c’è chi dà la colpa alla malformazione del marmo, chiamata dai cavatori più esperti ‘pelo’, chi sospetta che le misure di sicurezza non siano state seguite alla lettera. Soltanto gli inquirenti potranno fare luce su questo nuovo dolore sociale, una nuova piaga nel viso di Carrara.
 

UN triste via vai di colleghi, amici, conoscenti ha caratterizzato la giornata di ieri dell’obitorio. La zia lo ricorda come «un ragazzo splendido, molto credente nei valori della famiglia. Non aveva figli, ma tre nipoti che lui considerava come tali. Mio marito è morto da dieci anni — racconta la donna disperata —, quando mi recavo al cimitero e vedevo i fiori freschi ero sicura: Lucio era stato a trovarlo. Un grande appassionato di molti sport, del calcio in particolare, che amava con tutto se stesso: juventino, giocatore e allenatore. Quando non era al campo amava stare con i suoi cani. Tantissimo cuore anche per loro. Ogni meticcio che gli passava davanti trovava in lui un amico».
 

COMMOVENTI anche i ricordi dei colleghi: «Una pasta d’uomo, grande lavoratore, persona simpatica e socievole. Siamo rimasti paralizzati dal dolore misto alla rabbia quando, stamani hanno interrotto i lavori perché lui se n’era andato. Adesso vogliamo capire come è successo, la memoria di Lucio deve essere rispettata». Altri ricordi arrivano dai ragazzi che Cappè allenava: «Ci sono cresciuto assieme; va via una parte di me — racconta l’amico Roberto Bruschi dal sito della squadra di calcio Dogana — voi ne avete potute assaporare le doti umane e preparate nel mondo del calcio trasformando la nostra squadra in uomini e portandola alla promozione in prima serie». Un altro calciatore lo ricorda: «Chi ha avuto il piacere di averlo a fianco ha potuto aprezzare le sue ottime qualità sia come giocatore che come allenatore. Persona schietta come di solito è un vero carrarino. Lucio ha insegnato un po’ a tutti come stare in campo e a oltrepassare la soglia, ed è riuscito a portare una squadra modesta in prima serie prendendo il meglio da ogni singolo individuo».

di ALFREDO MARCHETTI