Massa, 29 aprile 2011 - UNA DIFESA di don Giuseppe Peretti senza se e senza ma. A quasi una settimana di distanza dall’esplosione del caso di baby prostituzione che ha visto finire agli arresti domiciliari il parroco di Turano, che ha 83 anni, il noto gelataio di piazza Stazione Guerrino Della Bona, 67 anni, e un custode di nazionalità marocchina Mohammed Ouardi, 60 anni, la Diocesi apuana intierviene ufficialmente sulla vicenda con una lunta nota.

 

«La Chiesa di Massa Carrara - Pontremoli — inizia il comunicato — , sconcertata dalla notizia che ha visto, proprio alla vigilia della Pasqua di Resurrezione del Signore, un proprio sacerdote sottoposto, per ordine dell’Autorità giudiziaria, agli arresti domiciliari, esprime a don Giuseppe Peretti i sentimenti della propria cristiana solidarietà. E’ al suo fianco nella preghiera e nella certezza che la sua innocenza verrà al più presto riconosciuta e che egli potrà ritornare alla guida della comunità di fedeli, alla quale da tanti anni dedica il suo impegno sacerdotale con dedizione e partecipazione».

 


LA CHIESA di Massa Carrara - Pontremoli inoltre «confida nella capacità della Magistratura ed ha fiducia nella serietà e nella professionalità degli inquirenti. Auspica che la vicenda possa concludersi nel più breve tempo possibile e con la dichiarazione della piena estraneità ai fatti di don Peretti, da tutti conosciuto come sacerdote attento ai bisogni dei più deboli, a fianco degli emarginati, pronto a battersi per chi ha necessità ed ad offrire loro il suo sostegno, sia spirituale che materiale. Proprio questo suo modo di essere lo ha da sempre posto in prima linea a fianco degli altri, sia come parroco, sia come docente di religione o come sacerdote attento ai problemi dei carcerati ospiti nella casa di detenzione prossima alla sua parrocchia».

 


INFINE la Chiesa di Massa Carrara – Pontremoli «ritiene doveroso evidenziare come le vicende di questi giorni, che tanto clamore stanno destando negli organi di informazione e, loro tramite, nell’opinione pubblica, non siano estranee ai rischi di chi è solito operare in prima linea sul fronte delle marginalità. Chi si impegna nella solidarietà, chi, per scelta e per missione, è solito aprire la porta di casa a quanti hanno bisogno, senza guardare chi essi siano, sa di correre dei rischi. Ma l’accoglienza, per la Chiesa e per il cristiano, è impegno ineludibile. Demanda ad un ruolo che non consente né mezze misure, né lascia troppo spazio a comportamenti di autodifesa che possono nuocere a quella missione di carità che, attraverso le mille forme dell’assistenza, passano attraverso le strutture diocesane, le parrocchie, le associazioni caritative, i singoli cristiani».

 


«LA SOLIDARIETÀ — conclude la Diocesi — si esplica in atteggiamenti non in linea con i metodi di una società che vuole cercare nelle cose e nelle esperienze di vita o nei gesti delle persone non il segno della carità, ma gli effetti di un’etica del profitto, dove ciò che accade è esclusivamente frutto di un prezzo che si è pagato o si deve comunque pagare. Ma questi atteggiamenti non possono né devono essere confusi con forme morbose di molestia e, tanto meno, con ipotesi di reato».