Moschea fantasma, parla Paolo Dazzi

L’imprenditore accusato di evasione fiscale spiega al giudice la sua verità

Preghiera in una moschea (foto d'archivio)

Preghiera in una moschea (foto d'archivio)

Carrara, 13 dicembre 2014  - SI È PRESO la scena lo stesso imputato Paolo Dazzi, accusato di evasione fiscale, ieri in tribunale davanti al giudice Fabrizio Garofalo e ha raccontato la sua verità al processo che prende il via dalla moschea fantasma, il caso giudiziario che dagli anni ‘90 vide la Dazzi Pietro fu Enrico fallire. L’azienda andò in crisi per il mancato pagamento della maxi commessa di 50 milioni di dollari per la costruzione di una mega moschea, il centro islamico e università a Bagdad ai tempi di Saddam Hussein.

LA DITTA di lapidei si attrezzò per onorare l’appalto e la commessa, ma l’invasione del Kuwait e il successivo embargo ai danni dell’Iraq fecero in modo che il progetto andasse in fumo. Da qui il fallimento della società,che non ha potuto far fronte alla commessa e che non ha nemmeno ottenuto i 10 milioni di penale. Dazzi fece richiesta alle banche di recuperare i fondi iracheni, ma non ottenne risposta. Poi, dopo anni di contenzioso, seguì la vendita del credito (16 milioni ceduti per 77mila euro) da parte della curatela a una società inglese che trovò i dieci milioni. Il tribunale condannò le banche al risarcimento di 9 milioni che entrarono così nel bilancio della curatela.

INTANTO Dazzi pagò tutti i creditori di tasca sua saldando i debiti che si aggiravano intorno ai 5 milioni al di fuori della procedura fallimentare. Nel 2003 la curatela pagò le ultime spese e restituì a Dazzi una somma tra gli 8 e i 9 milioni. I soldi che erano in banca e che non erano stati inseriti nel fallimento in quanto c’era un ricorso pendente. Ora su questi soldi il fisco intende mettere le mani considerandoli profitto attivo del fallimento e quindi imponibili. Paolo Dazzi è accusato di aver evaso 3 milioni e 694mila euro ma ieri in udienza ha dichiarato di aver agito sempre alla luce del sole.

LA CASSAZIONE aveva confermato, due anni fa, il dissequestro dei 7,4 milioni di euro di Paolo Dazzi. La Corte suprema con una sentenza aveva respinto in toto il ricorso presentato da Unicredit che aveva contestato il provvedimento del Tribunale del riesame sulla controversa vicenda della moschea fantasma e della presunta truffa all’Iraq. I magistrati di Torino avevano annullato la decisione del Tribunale di primo grado che aveva disposto, su richiesta di Unicredit, il sequestro conservativo dei beni di Dazzi.